Recensione: It Comes In Waves

Di Fabio Vellata - 26 Ottobre 2006 - 0:00
It Comes In Waves
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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60

Quarta uscita mensile per la MTM, che dopo l’ottimo cd di Zeno Roth, la gustosa compilation celebrativa e il debutto dei Beggar’s Bride, immette sul mercato il nuovo album, il quarto in carriera, di Martin Briley, autore e polistrumentista poco noto al grande pubblico nonostante le numerose collaborazioni con artisti di sicuro richiamo come Michael Bolton, Kenny Loggins, Jeff Healey, Meatloaf, Dann Huff e Bonnie Tyler.

AOR del più morbido e smorzato nei toni è la base su cui l’intero ellepì poggia, offrendo una serie di canzoni oscillanti tra atmosfere in pieno stile “west coast” e situazioni al confine con il pop meno commerciale degli ultimi Genesis, vagamente innaffiato in qualche frangente da sporadiche spruzzate di rock modernista e tendenze country nella scia di Tom Petty e dei Traveling Wilburys.
Onestamente risulta difficile identificare un uditorio a cui una proposta di questo genere possa apparire consona: troppo “molle” per piacere ai rockers, troppo poco commerciale per ambire a scalate in classifica o successi di ampia portata.

Il disco si dipana infatti, lungo una trama che non lascia molto spazio a particolari sussulti regalando highlights di ragguardevole richiamo; un rock blando, certamente ben suonato e prodotto ma fondamentalmente sterile in fatto di emozioni, che scorre senza lasciare la minima traccia e scivola in modo tutto sommato innocuo.
Alcuni brani di discreta levatura (“Church Of Disney”, “I Don’t Think She Misses Me At All” e la title track) non riescono a sollevare del tutto il platter da un fastidioso alone di mediocrità che a tratti si materializza impietosamente, consegnandolo alla noia ed al deja vu in troppe occasioni.

“It Comes In Waves” non dispiace a livelli irritanti sia chiaro, ma in effetti, data la sua natura così anonima e priva di incisività, appare difficilmente consigliabile o inseribile in contesti specifici e distintivi.
Per farla breve, i cd costano cari, ed un prodotto come questo, sebbene non del tutto cestinabile, può costituire fonte di interesse esclusivamente per i “die hard” fans del genere (non molti credo) e per chi, avendo da spendere qualche soldino in più, dopo aver acquistato il necessario, il non necessario ed il superfluo, vuole garantirsi anche un buon sottofondo per le faccende domestiche ed i momenti sotto la doccia.
Musica da “ascensore” la chiamano gli esperti.

Che dire di più? Trascurabile…

Tracklist:

01. It Comes In Waves
02. Church Of Disney
03. Big Sun
04. I Don’t Thins She Misses Me At All
05. Me And My Invisible Friend
06. The Massage
07. In The Dim Light Of A Brand New Day
08. Invisible
09. Pray For Rain
10. That Song
11. Fake Horizon

Line Up:

Martin Briley – Voce e tutti gli strumenti.

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