Recensione: Ithaca

Di Vittorio Cafiero - 18 Giugno 2015 - 1:01
Ithaca
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2015
Nazione:
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90

Sulle scene da quarant’anni buoni (con la prima incarnazione Omega R), maestri dell’Epic Progressive Metal di Piombino tornano con il loro sesto album in studio, Ithacaa sette anni dall’eccellente Symbols del 2008. Sette anni al giorno d’oggi sono un’eternità, discograficamente parlando, eppure, una volta tanto, questo “ritardo” (virgolette d’obbligo) non si è verificato a causa di quei problemi di line-up ed etichetta che avevano afflitto la band negli anni passati. Negli ultimi tempi, infatti, il quartetto di Piombino, forte di una maturità ormai completa e di una coesione mai sentita prima, si è voluto togliere qualche sfizio, affrontando esperienze ambiziose, magari come sempre destinate a pochi appassionati, ma comunque di notevole sostanza artistica e certamente ben fatte: stiamo parlando del concerto celebrativo al Teatro Concordi di Campiglia Marittima, poi pubblicato su dvd e successivamente su doppio album, nonché della riedizione dell’esordio Dark Quarterer, a 25 anni esatti dall’uscita originaria, risuonato e riproposto nella veste ad esso consona. Uscite tutt’altro che banali, chiariamolo, che hanno perfettamente delineato la caratura della band a tanti anni dagli inizi, grazie alla loro facile reperibilità e a livelli di produzione finalmente degni. Inoltre, si sono dimostrati l’ottima occasione per rodare prima e cementare poi l’ingresso dei due nuovi membri in formazione, Francesco Sozzi alla chitarra e Francesco Longhi alle tastiere. 

Al di là del tempo trascorso, impegnato appunto in modo proficuo, i Dark Quarterer sono una band il cui perfezionismo viene fuori immediatamente approcciandosi al nuovo lavoro: Ithaca è un disco pensato e ripensato, dove la passione che c’è dietro non si manifesta attraverso l’istinto o la foga, ma tramite una ricerca musicale che già prima c’era, ma che ora senza dubbio ha trovato la sua perfetta quadratura del cerchio. I meriti? Più di uno: musicisti dal grande talento, intesa consolidata negli anni tra i fondatori, nuovi elementi oramai inseriti alla grande e una resa sonora davvero eccellente. Tutti dettagli che vedremo nel corso della presente disanima. 

La band di Gianni Nepi ancora una volta ripropone un concept album: nessuna trasposizione dell’opera omerica, nonostante il titolo, ma una profonda riflessione sulla vita intesa come viaggio, dove non importa tanto la destinazione ma il bagaglio di esperienze che si possono accumulare giorno dopo giorno. Il racconto avviene avvalendosi dei versi e delle riflessioni ispirate dall’omonima poesia di Konstantinos Kafavis, uno dei maggiori esponenti della letteratura greca moderna. E’ The Path Of Life che apre il disco e lo fa in modo decisamente regaleun incedere cadenzato e maestoso si trasforma in un prog metal classico e immediatamente si nota la cura dei dettagli; c’è grande amalgama tra tutti gli strumentisti, ma è nella fase solista di tre/quarti di pezzo che vengono fuori prepotentemente Longhi e Sozzi, i due innesti di Symbols sono ormai elementi fondamentali del suono Dark Quarterer. Night Song parte in modo delicato e in questo caso è la voce del “vecchio leone” Nepi a mostrarsi in tutto il suo splendore: solenne, evocativa eppure mai esagerata, riesce a caratterizzare il pezzo in modo unico. E non è tutto, da metà brano il nostro si fa da parte e lascia il campo ad un crescendo strumentale, basato su un motivo portante che verrà riproposto nel prosieguo dell’album. Cambio di registro netto con Mind Torture, pezzo caratterizzato da atmosfere più tetre e compassate che, complice l’hammond sul finale, lo rendono vintage, quasi barocco. Con Escape, uno dei pezzi proposti in anteprima, si torna su ritmi più sostenuti e anche in questo caso i Dark Quarterer si trovano a loro agio. Di nuovo, una tastiera settantiana la fa da padrone (a pensare che, per gran parte della loro carriera, nella musica della band questo strumento nemmeno esisteva!), in un pezzo decisamente progressivo che parte dai Deep Purple passa dai Dream Theater e riserva ampio spazio alla fase solista: decisamente pane per i denti degli appassionati dei virtuosismi e dei tempi dispari. 
Arrivati al giro di boa di metà disco è impossibile non notare come la band di Piombino sia in grado di esprimere grande personalità pur rimanendo all’interno di canoni sostanzialmente standard. Nessuna trovata sensazionale, solo (si fa per dire) composizione, arrangiamento ed esecuzione. E il tutto gira a meraviglia. Come se ciò non fosse abbastanza, quello che davvero impressiona è il percorso evolutivo che la band ha intrapreso negli ultimi anni, risultato di una nuova stabilità consolidata attorno ad una line up forte e coesa, dove i due nuovi membri forniscono soluzioni sempre d’alta classe e il cui talento è probabilmente lo stimolo per Nepi e Ninci per rimettersi in gioco e rinnovarsi sempre.  
Nostalgia conferma l’alternanza pezzo veloce/pezzo d’atmosfera; Nepi ancora una volta dà il meglio di sé: si chiudono gli occhi e il pensiero va inconsciamente all’indimenticato Francesco Di Giacomo del Banco Del Mutuo Soccorso. Prog d’annata, quindi, e non potrebbe essere altrimenti vista la storia musicale dei due membri fondatori. Non è finita qui; Rage Of Gods, il pezzo più lungo dell’album e probabilmente anche il più ambizioso, potrebbe essere da solo l’oggetto di una recensione a parte: suite totale, un’esperienza musicale tutta da ascoltare, ricca di cambi d’atmosfera, variazioni sul tema, fughe solistiche, stacchi virtuosi, fino ad arrivare al momento più suggestivo: si riprende il motivo già proposto in Night Song, ma in modo più epico e cinematografico, tanto da ricordare certe arie proposte nei capolavori del Maestro Morricone. Entusiasmante. 
Siamo in dirittura d’arrivo: Last Fight è uno stuzzicante metal d’autore che si sviluppa in un crescendo di enfasi per poi trovare il suo climax in un prog d’alto livello e concludersi in una chiusura che lascia in bocca il sapore di PFM. Da non perdersi, poi, la sorpresa finale che è opportuno non svelare…  

Songwriting inappuntabile, produzione d’alto livello (merito dell’ormai “quinto membro” Andrea Ramacciotti nuovamente dietro alla consolle), talento innato. Difficile trovare punti deboli o elementi anche soltanto normali all’interno di Ithaca. I Dark Quarterer continuano la loro storia fatta di grande musica, sempre all’interno della scena underground, certamente, eppure con quello stile e quella qualità tale da rendere il passaggio verso lo status di cult-band pressoché automatico (e gli inviti ricevuti nei festival di genere di mezza Europa lo dimostrano).  

Proprio come Ulisse, lasciatevi trascinare dalla curiosità e intraprendete questo viaggio affascinante: la musica di Ithaca aspetta solo di essere scoperta; privarsene sarebbe davvero un errore imperdonabile.

Vittorio “Vittorio” Cafiero

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