Recensione: It’s Always Time
Appuntamento con la storia dell’HM tricolore: a sorpresa esce il nuovo capitolo discografico dei piemontesi Fil di Ferro. Autori di un disco celeberrimo nel 1988, i metaller canavesi di cose da raccontare ne hanno davvero molte, fra passaggi su televisioni nazionali, apparizioni dal vivo in Svizzera e Austria, un concertone al mitico Hammersmith Odeon di Londra e la connivenza con i biker Hurricanes MC, tanto per citare solo alcuni degli highlight siglati dal combo capitanato da una Roccia del Metallo Italiano come Michele De Rosa, fondatore e indistruttibile batterista degli Irons Wire. Unico rimasto dei membri originali, il drummer, da qualche tempo a questa parte, dopo gli innumerevoli cambi di line-up che da sempre contraddistinguono le vicissitudini del gruppo, ha reclutato tre musicisti particolarmente motivati che credono a fondo nel progetto Fil di Ferro et voilà, dopo un consistente periodo di rodaggio on stage ecco materializzarsi il recentissimo It’s Always Time, una netta dichiarazione di intenti fin dal titolo.
Il disco propone vecchi classici, inediti assoluti e chicche varie. Ottima e in tema motociclistico la copertina, azzeccato l’artwork disegnato sopra al cd fisico – una ruota a raggi, come da tradizione, di una moto custom – e praticamente un lenzuolo piegato (di ben 35 x 47 cm!) – a mo’ di booklet, con la storia della band da una parte e una carrellata di foto riguardanti le persone amiche dei Fil di Ferro dall’altra, gentili e carine donzelle incluse, più stralci di riviste hard’n’heavy d’epoca. A condire il tutto alcuni classici strafalcioni che fatto tanto NWOIHM, sempre ben accetti, con il sorriso sulle labbra, ovviamente!
Esistono gruppi che si identificano con una canzone e i piemontesi sono uno di quelli. L’equazione Fil di Ferro=Hurricanes fa parte da anni dell’epopea della siderurgia musicale italiana e poteva quindi aprirsi con un brano diverso It’s Always Time? All’opera l’ultima line-up della band, che annovera Michele De Rosa ai tamburi, Elvis Taberna alla voce, Gianni Castellino al basso e Gianluca “Yes” Uccheddu alla chitarra. Di sicuro impatto la Loro re-interpretazione del pezzo, molto meglio di quanto fatto nel passato prossimo dei Fil di Ferro, con l’aggiunta di rombi degli scarichi di moto all’inizio, più qualche svisata negli assoli di chitarra anche se l’originale – intesa nella versione II del 1988 -, con alla voce un fuoriclasse come Sergio Zara rimane e rimarrà per sempre inarrivabile. Seguono altri tre episodi inediti nati e suonati dalla formazione attuale, la fottutamente NWOBHM Heroes in the Rain, Lycan & Vampire devota all’U.S. heavy metal e l’introspettiva Tantum Aurora Est che danno un’idea precisa di cosa siano i Fil di Ferro oggi: un gruppo quadrato che sa come pestare quando deve ma anche essere melodico all’occorrenza, forte di un songwriting figlio di anni di milizia, forte della produzione di due tecnici preparati come Max Trabucco e Beppe Crovella.
A seguire Shout, da Rock Rock Rock, episodio simil Funky metallizzato totalmente fuori contesto ed evitabilissimo, che si sfarina secondo dopo secondo nei confronti del resto delle canzoni, poi Celebration della PFM in una robusta versione strumentale. Give Me Your Hands, ancora dal disco del 1992, che vede alla voce Roberta Bacciolo delle Funky Lips e Victor Zinchuk alla solista, svela il lato melodico dei Fil Di Ferro consegnando un episodio adulto di Hard Rock italiano, per chi scrive uno degli highlight di It’s Always Time. Sempre dal terzo capitolo discografico è tratta Living In The City, pezzo dove De Rosa e Soci si divertono a fare i Royal Air Force.
Ombre, per la prima volta proposta in italiano, dopo essere stata scritta trentadue anni fa dai Fil Di Ferro nella Sua versione inglese – Shadow – conferma che Piero Leporale fosse cantante a proprio agio su partiture di estrazione Seventies. Scorrono le ben riproposte cover di R.I.P. (del Banco, inedita per i piemontesi) e Aria di Bach con alla chitarra solista Victor Zinchuk. L’accoppiata HM da brivido Ambush/Licantropus è una trapanante rimpatriata che propone antichi brividi risalenti al momento d’oro della band, di sicura presa l’impianto Hard Rock di Go Out, altro momento melodico di picco all’interno di It’s Always Time, mazzata di HM velocissimo a la Fingernails mal prodotto in King Of The Night, direttamente dal giurassico dei Fil di Ferro, chiusura affidata a The Comedy of Damned, mid tempo roccioso dai rimandi Savatage nei passaggi atmosferici iniziali.
It’s Always Time è disco variegato, come sempre accade in questo genere di operazioni, con sbalzi di resa sonora evidenti data la promiscuità del materiale rappresentato. Purtroppo le inesistenti note legate ai vari brani di certo non aiutano nei riguardi di una disamina precisa, ma alla fine quello che conta è la musica e il combo piemontese nella Sua recente incarnazione dimostra di saper competere con l’ingombrante discografia passata. Alla prossima, quindi, che speriamo non troppo in là nel tempo release completamente di inediti, quindi… vvrrroooooooarrrrrrrrrrrrrr!!!!!!!!!!!!!!!!!
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Line-up:
Elvis Taberna (voce)
Gianluca ‘Yes’ Uccheddu (chitarra)
Gianni Castellino(basso)
Michele De Rosa (batteria)
Tracklist:
1.Hurricanes
2.Heroes in the rain
3.Lycan & Vampire
4.Tantum Aurora est
5.Shout
6.Celebration
7.Give me your hands
8.Living in the city
9.Shadows/Ombre
10.R.I.P.
11.Aria
12.Ambush
13.Licantropus
14.Go out
15.King of the night
16.The comedy of Damned