Recensione: IV: Empires Collapse

Di Carlo Passa - 29 Ottobre 2013 - 15:12
IV: Empires Collapse
Band: Warbringer
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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73

Il thrash metal dei Warbringer non è musica da sottofondo al taglio della barba. Non tanto perché la violenza prodotta dagli americani sia incompatibile con gli occhi assonnati e il pigiama sgualcito, quanto per il rischio che un ascolto poco attento possa tradursi in un frettoloso giudizio che non farebbe giustizia a IV: Empires Collapse.
Complice una certa monotonia della voce di John Kevill, il disco parrebbe infatti trascorrere senza lasciare granché all’ascoltatore distratto. In vero, c’è una certa dose di varietà nel quarto disco dei Warbringer: per carità, sempre di thrash ottantiano debitore della Bay Area si tratta, ma a tratti ben ibridizzato con elementi più datati (l’heavy metal classico di taluni assoli) e altri decisamente contemporanei (certi ritmi e riff che richiamano il death melodico).
Non tutto funziona alla perfezione, soprattutto a causa della voce di John Kevill che davvero non cambia di una virgola per l’intero arco del disco, giocando sempre su una manifesta aggressività, alla lunga un po’ noiosa. Egualmente, il songwriting, generalmente di livello, mostra qualche banalità evitabile per una band al quarto album e dotata sia di tecnica che di gusto. Tuttavia, al netto di qualche macchia, IV: Empires Collapse è nel complesso un bel prodotto, non privo di ottimi momenti.
Ad esempio, la canzone posta in apertura, Horizon, è un davvero signor pezzo thrash: diretto, violento, ricco di grandi riff e piacevolmente retro. Non manca neppure il classico arpeggio acustico sul finale, ad ingentilire il tutto. Un Bignami del genere.
Seguono The Turning of the Gears e One Dimension, dove la componente hard-core, spesso nascosta ma imprescindibile nel thrash, si affaccia e incontra gli Anthrax di Spreading the Disease e Among the Living. Canzoni dalla struttura piuttosto semplice e, proprio per questo, difficili da scrivere senza scadere nell’ovvietà più becera. In questo aspetto i Warbringer mostrano di avere una marcia in più, riuscendo a confezionare melodie e arrangiamenti davvero azzeccati, il tutto arricchito da una notevole freschezza sia di scrittura che di esecuzione. Headbanging d’altri tempi.
Hunter-Seeker, invece, sembra odorare davvero troppo di naftalina anni ottanta per meritarsi una palma di personalità. Ciò nonostante, il pezzo sa stupire in virtù di un assolo classic metal azzeccatissimo e di un bel riffing moderno. A far coppia con Hunter-Seeker è la successiva Black Sun Black Moon, anch’essa apparentemente fulminata sulla via di Exodus e compagnia bella, finché il gioco viene ancora una volta sparigliato da un bridge che richiama gli Among Amarth e dall’ennesimo bell’assolo classicamente melodico. Bravi: una bella, e non semplice, ricetta per il thrash del secondo decennio del XXI secolo.
C’è molto, troppo dei Testament in Scars Remains, senza la classe dei succitati. Egualmente Dying Light e Iron City, seppur formalmente perfette (e forse proprio per questo), non incidono più di tanto, ripetendo cliché anni ottanta ormai davvero troppo sfruttati.
Pur con le dovute differenze di tempi e qualità, la prima parte di Leviathan (poi richiamata nella conclusione) rimanda ai pezzi più lenti e pesanti degli Slayer (periodo tra South of Heaven e Seasons in the Abyss), risultando convincente. Purtroppo, la sezione centrale della canzone accelera insensatamente, lasciando l’amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere e non è.
Pura violenza hard-core in Off With Their Heads!, perdonabilmente inutile nel suo minuto e mezzo di durata.
Infine, Towers of the Serpent si fa dimenticare velocemente, nonostante una sezione strumentale davvero eccellente.
La sensazione lasciata da IV: Empires Collapse è che i Warbringer diano il meglio di sé laddove sanno azzeccare e valorizzare l’incontro tra thrash e altre istanze del mondo metal, siano esse classiche o moderne. In questi casi, il risultato suona davvero personale, fresco e capace di infondere linfa vitale all’intero movimento thrash, affrancandolo da passatismi triti e stilemi abusati. La band risulta, infatti, meno incisiva proprio quando ripete a memoria il compitìno thrash imparato all’università della Bay Area.
La bella copertina, lontana dall’iconografia ortodossa del thrash, fa sperare che il futuro dei Warbringer vada nella direzione giusta.
 

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