Recensione: IV Monument
I Sideburn provengono dalla fredda Svezia, una nazione che, ancora una volta, mostra di sfornare tante band che sanno scrivere e suonare con l`anima, che sanno sfornare dischi sempre di buon livello e che sanno riportare la stessa tecnica e passione anche sul palco.
Tempo fa la Germania era considerata la patria dei generi Rock e Metal: purtroppo ultimamente, se si escludono i grandi nomi che hanno fatto la storia, non è più cosi, o comunque non come un tempo..
Questo nuovo lavoro (il quarto dal 1997, anno di esordio) porta ancora una volta sonorità Stoner allo stato puro e di tipico stampo Sideburn: chitarre molto graffianti, secche, senza tanti effetti (inutili per questo genere) nella ritmica, quanto invece molto acute per gli assolo. Una produzione tanto scarna al punto da far emergere alcune piccole imprecisioni esecutive, aspetti che, in questo stile musicale, sono tutto sommato apprezzabili. Proprio perché lo Stoner viene suonato e vissuto e non solo “scritto”.
La batteria è pressoché flat, suoni veri e non rielaborati, sempre adatti allo Stoner più puro. L’unico piccolo difetto riscontrabile, se si vuol essere pignoli, lo si trova nei piatti leggermente alti rispetto al resto, ma comunque non al punto da apparire fastidiosi.
Il basso è davvero imponente e ricopre bene il ruolo di riempimento (grazie ad un bellissimo suono) avendo in molte occasioni spazio per assolo ben riusciti come tecnica ma, soprattutto, come gusto.
La voce, quasi inutile dirlo è sempre all’altezza del compito: grande estensione vocale, capace di essere dolce nei passaggi più lenti quanto rabbiosa e acuta nei pezzi più massicci. Manca però forse un elemento di unione con la parte strumentale: le parti vocali, infatti, sembrano quasi “staccate” dagli altri elementi.
Non si può, ad ogni modo, fare a meno di paragonare l’ottimo timbro vocale a ben più famose ugole mondiali, da un Bruce Dickinson agli esordi, passando per Danzing, sino ad arrivare in alcuni passaggi, a Joacim Cans degli Hammerfall.
Veniamo alla tracklist:
Il disco apre con “Diamonds”: un bel riff ed una batteria mid-tempo i quali però non bastano per lasciare il segno in una canzone troppo ricercata per restare in testa dell’ascoltatore. La melodia vocale è troppo elaborata, i continui sali e scendi non accostati fluidamente ma quasi forzati non convincono. L’assolo, o meglio gli assolo, non aiutano a recuperare stabilità, quindi l’inizio del disco risulta “confuso”.
Molto armonioso, quindi godibile, il pezzo centrale strumentale, qualità tipica della band.
“Fire And Water” apre con un bel giro Sabbathiano e una melodia vocale che ricorda molto gli ultimi lavori di R.J.Dio. Lenta, trascinata, ma cantata con uno stile vicino a Danzig, davvero ben riuscita.
La cavalcata proposta dai Sideburn continua con “Tomorrow’s Dream” e ancora una volta il tocco Sabbathiano è inconfondibile. Gran lavoro di batteria con veloci rullate, incastri e bei passaggi tecnici per una canzone mid-tempo arricchita da cori in stile Led Zeppelin ed un assolo finalmente bello blueseggiante, senza incappare in sola tecnica. Caldo, in particolar modo nel finale, con la nota tirata e fischiata.
La qualità del disco cresce anche quando si viene a contatto con “Crossing The Line”, canzone che lascia davvero il segno. Apre con un bellissimo arpeggio e una melodia vocale lenta che ricorda a tratti i vecchi, veri Manowar diventando da metà in poi più energica grazie ad un assolo decisamente migliore del precedente ed uno di batteria che chiude: originale.
Purtroppo, la musica di questo nuovo lavoro tende ad appiattirsi con “The Last Day” e “Silverwing”. Sono entrambe “pesanti ” e mal stese nella composizione, soprattutto per ciò che concerne la prima. La seconda ricorda invece parecchio “Life Won`t Wait” di Ozzy. L’arpeggio iniziale è praticamente identico. Abbiamo, insomma, canzoni che sembrano non iniziare mai, in cui la voce ricorda troppo il Blaze dell’era Maiden, facendo quasi ricredere l’ascoltatore sul cantante.
Si recupera un pò di fiducia con “The Saviour”. Questo è il brano più Stoner in senso stretto di tutto l’album, avvolto da un riff di chitarra e cori molto dark.
Bellissimo il pezzo centrale, orecchiabile grazie all’accostamento di basso e chitarra, che apre ad un solo davvero apprezzabile.
Siamo verso la fine della produzione con “Bring Down The Rain” e il disco riacquista forma con questa sinfonia molto rockeggiante. Bella, energica, quadrata e capace di restare impressa nella mente grazie anche alla voce: estesa, graffiante e acuta. L’ unica pecca la troviamo a metà strada, quando arriva, ancora una volta, un assolo non all’altezza del resto della composizione: troppo tecnico e slegato dagli altri strumenti. Peccato.
Il disco si conclude con “Monument”: composta da tante chitarre inserite bene ed un bel giro di basso. A tratti ricorda le ultime canzoni Maiden, quelle più lunghe, con cori che arricchiscono il tutto, davvero ben riusciti.
La produzione del disco merita. I suoni anche. La tecnica dei membri dei Sideburn è indiscutibile, anche se a volte appare usata un po’ impropriamente e con qualche forzatura di troppo.
L’artwork, infine crea quell’ atmosfera dark adatta al genere, oltre ad essere bello da vedere.
Insomma, ancora buone qualità e musica interessante per il quartetto svedese. Pur se con qualche riserva…
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Tracklist:
01. Diamonds (6:04)
02. Fire And Water (6:08)
03. Tomorrows Dream (4:07)
04. Crossing The Lines (6:25)
05. The Last Day (7:05)
06. Silverwing (7:26)
07. The Saviour (6:51)
08. Bring Down The Rain (5:10)
09. Monument (7:43)
Line Up:
Morgan Zocek – Voce / Chitarra
Jani Kataja – Voce / Chitarra / Basso
Martin Karlsson- Basso / Tastiere / Cori
Fredrik Haake – Batteria