Recensione: IV – One with the Storm

Di Carlo Passa - 19 Dicembre 2015 - 21:00
IV- One with the Storm
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2014
Nazione:
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Quarto album nel giro di sette anni per i Ghost Brigade, autori di una mistura di death/doom, depressive rock e post-core. Detta così, la formula proposta dai finlandesi non suona particolarmente attraente, soprattutto in virtù della potenziale confusione che l’incontro di tante attitudini potrebbe generare.
In vero, la band fa di tutto per riuscire a gestire le proprie diverse anime, influenzate a macchia di leopardo da gruppi come i Katatonia (dei primi tempi), i Cult of Luna e gli Anathema, ma anche dagli Amorphis più riflessivi e da certi Dark Tranquillity atmosferici. Tuttavia, va detto che il pasticcio di generi cucinato dai Ghost Brigade finisce col presentare difetti di amalgama. Pur mantenendo una certa omogeneità nei suoni (in vero, alla lunga ripetitivi), le singole canzoni tendono ad incarnare le variegate suggestioni della band isolatamente, accostando queste ultime in modo a tratti forzoso e risultando in evitabili banalità.
Mi spiego. La canzone posta in apertura, Wretched Blues, è orecchiabile, lineare, a tratti epica e il growling leggermente strozzato e lamentoso di Manne Ikonen le conferisce un tono un po’ Dark Tranquillity che le veste benissimo. Ma a stretto giro segue Departures: e siamo in un altro mondo, fatto di reminescenze post-rock e pieno di ultimi Amorphis e di voce pulita. A legare i due pezzi è l’approccio malinconico e decadente, che pervaderà l’intero album e meglio si concretizzerà nei momenti più tipicamente death che non in quelli post-core, spesso troppo prevedibili.
Un altro tratto caratterizzante i Ghost Brigade è una certa epicità melodica (decisamente “amorphisiana”), di cui la band tende però ad abusare. Così è l’apertura di Aurora, più rock che metal, quest’ultimo facendo capolino nei momenti dove il growling sale in cattedra, a dire il vero più per onor di firma che per reale ragion d’essere.
In questo senso, Disembodied Voices rappresenta bene l’intero disco: parte come una ballad nostalgica e vagamente grunge per poi trasformarsi nell’ennesimo mid-tempo arioso condito di growling. Se per un paio di pezzi questa struttura che alterna aggressività in growling e melodie pulite sembra reggere, alla lunga diventa fin troppo prevedibile e, in ultima istanza, si rivela incapace di trattenere l’attenzione dell’ascoltatore. In merito si vedano anche l’inutile Anchored e la pacchiana The Knife.
Electra Complex è un pezzone di una decina di minuti la cui prima parte richiama, con buona qualità, i Katatonia. Poi arriva il growling e il mid-tempo arrabbiato con apertura melodica (chi l’avrebbe detto?): e il tutto finisce in banalità.
Stones and Pillars suona decisamente post-core negli arrangiamenti, che paiono amalgamarsi bene con il death/doom veicolato soprattutto da un growling finalmente motivato.
Dato il titolo, Long Way to the Graves non poteva suonare come un pezzo da hair metal band losangelina del 1987. Trattasi, infatti, di una triste ballad che ricorda certi momenti dei Type o Negative e, in parte, degli Anathema. Nel complesso, un buon pezzo, che forse non si lascerà troppo ricordare ma si ascolta volentieri, anche in virtù di un arrangiamento semplice e decisamente a tono.
Pur pregna delle medesime soluzioni sopra stigmatizzate, la conclusiva Elämä on tulta non annoia, grazie a un crescendo epicheggiante che trova la propria ragion d’essere nella posizione finale del disco.
I Ghost Brigade hanno realizzato quello che può essere considerato il proprio album definitivo, capace di assommare tutte le influenze che insistono sulla musica dei finlandesi. Una certa discontinuità e, sembrerà paradossale, ripetitività delle soluzioni non giova alla valutazione finale e, nel complesso, rischia di relegare i Ghost Brigade nell’affollatissima serie B del genere, fatta di dischi dalla vita breve e band incapaci di lasciare un segno duraturo.
Ultim’ora: il 9 dicembre scorso, con un messaggio ai fans sulla propria pagina Facebook, la band ha comunicato di volersi prendere una pausa. A qualcuno dispiacerà; noi siamo certi che riusciremo a farcene una ragione.

 

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