Recensione: IX
“IX” è il disco d’esordio per gli Host, gruppo britannico dedito ad un electro – rock dalle tinte gotiche, decadenti e rarefatte. Se questa combinazione vi fa suonare un insistente campanello in testa non temete, va tutto bene: dietro il monicker Host, infatti, si nascondono quelle vecchie volpi di Nick Holmes e Greg Mackintosh, che con i loro Paradise Lost diedero alla luce, nel 1999, un lavoro controverso proprio perché caratterizzato dalle sonorità anzidette e intitolato, guarda un po’ il caso, “Host”. La passione dei nostri per la Dark Wave non è mai stata un mistero, e lungo i tre quarti d’ora scarsi di “IX” si percepisce distintamente la volontà della coppia di far rivivere quelle vibrazioni. I rimandi a Depeche Mode, Joy Division e Sisters of Mercy – giusto per citare i più famosi – sono evidenti in più occasioni, ma più che di plagio parlerei di rielaborazione. Il dinamico duo, infatti, prende quanto fatto con la band madre e ne sfronda gli elementi classici, riempiendo quei vuoti con l’elettronica: ecco quindi melodie fredde e distanti ma di grande immediatezza che si affastellano tra loro, dando vita ad atmosfere plumbee, decadenti ma a loro modo raffinate. Se da un lato il fattore originalità latita un po’, va comunque detto che i nostri sanno il fatto loro, e riescono a donare alla propria musica un’anima ben precisa tra paesaggi cupi, fraseggi ai limiti dell’industrial e suggestioni più tipicamente gothic. Il risultato è un album che dietro una certa accessibilità iniziale si rivela denso, atmosfericamente appagante ma anche piuttosto ostico per i non appassionati, forse per via di un’eccessiva organicità delle sue componenti.
Un arpeggio languido ed effettato apre le danze: “Wretched Soul” si sviluppa su ritmi lenti, in cui l’elettronica striscia sottopelle venandosi pian piano di incombenza e creando così il mood dell’album col suo tono stiloso e tormentato. Un fare più futuristico apre “Tomorrow’s Sky”, pezzo più arioso che mescola immediatezza e malinconia creando un amalgama distaccato ma reso fascinoso da una voce solo apparentemente monocorde. Una melodia distorta di piano introduce “Divine Emotion”, che in breve esplode nella dimessa enfasi del ritornello, a cui le intromissioni del violino donano un fare decadente. Lo stridore dissonante della parte centrale funge da spartiacque, una cesura che conduce nuovamente al suono del piano e ad un nuovo inizio, il cui climax sfuma in “Hiding From Tomorrow”. L’attacco propositivo, che lascia presagire una traccia più robusta, si ammanta di nuovo di elettronica assumendo connotati agrodolci, per certi versi ammiccanti, fino allo stacco centrale più drammatico che scivola in una seconda parte di nuovo languida, sognante, punteggiata da chitarre ruvide. “A Troubled Mind” avanza con fare guardingo che carica la tensione pian piano, per poi esplodere in passaggi più carichi di enfasi e spegnersi pian piano in una melodia nuovamente placida. “My Only Escape” punta su una melodia tanto semplice quanto d’effetto, che profuma di film noir/action anni ’80 impreziosito da una voce distaccata ma insinuante e da impennate strumentali dal retrogusto eroico nonché vagamente sensuale. Lo stesso sentore cinematografico si percepisce nella successiva “Years of Suspicion”, che però si ammanta di un taglio più drammatico. Il pezzo si mantiene su ritmi lenti, squadrati, punteggiati da schegge inquiete e vede un alleggerimento del tono solo per un breve istante nella parte centrale. La coppia di tracce seguenti condivide un fare simile, velatamente angoscioso, ma mentre “Inquisition” veicola il messaggio attraverso ritmi languidi spezzati da un ritornello incombente, “Instinct” spinge di più su una sensualità decadente, cupa. Chiude l’album “I Ran”, pezzo immediato ed accattivante dall’intenso profumo pop che però nasconde un’anima oscura, vagamente minacciosa, che fotografa alla perfezione il respiro che pervade l’album.
Nel complesso “IX” è un buon album, che denota un amore sincero per il genere e indubbie abilità nel tessere trame sonore oscure ed avvolgenti. La qualità complessiva si dimostra buona per tutta la durata del lavoro, ma la sua omogeneità forse eccessiva e la mancanza delle classiche tracce killer lo trasforma in un unicum non sempre digeribile. Ad ogni modo “IX” da il meglio di sé quando si tratta di creare splendide atmosfere, dal taglio decadente e notturno.