Recensione: Janis

Di Daniele D'Adamo - 15 Settembre 2024 - 0:00
Janis
Band: Vestige
Etichetta: Season Of Mist
Genere: Post Black 
Anno: 2024
Nazione:
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78

«Osservo l’orizzonte, i suoi colori rossastri indicano che un altro giorno sta morendo, assieme ai sogni che non troveranno mai compimento»

Un incipit, quello sopra, che sgorga dalle note della shoegaze, la quale, incrociata al black metal, dà vita al post metal o blackgaze. Come si preferisce. Tanto, il risultato è il medesimo.

I Vestige sono di recente formazione, 2022, e “Janis” è il loro debut-album. Una fatica bene accolta da una label importante come la Season Of Mist, dovuta in primis a Théodore Rondeau, anima inquieta che ha dato vita al gruppo. Gruppo che a mano a mano si è arricchito di personaggi dal livello tecnico di primo piano, per arrivare a scrivere le mirabili, eteree armonie che si trovano a piene mani nel platter.

Per un ossimoro che rincorre se stesso, fra sfuriate di black metal e improvvise aperture melodiche tipiche della ridetta shoegaze. Tant’è che lo stesso Rondeau si trova ad agire su due differenti linee vocali. Quelle di un violento growling e/o aspre harsh vocals, e le altre: leggere carezze di un canto celestiale, lindo, pulito, che accompagnano i malinconici tratteggi di segmenti musicali che costringono ad abbassare il capo per osservare le proprie scarpe (shoegaze), liberando emozioni fra le quali primeggiano tristezza e malinconia.

Janis“, oltre a presentare l’altalenante antitesi fra parti dure, cattive, possenti, segnate a volte da feroci blast-beats, si rivela un LP assai vario, in cui la direzione musicale è chiara ma che, come un celestiale caleidoscopio, svela a poco a poco una molteplice varietà artistica. Ecco che, allora, come accade per esempio in “Automne Part 2“, cui partecipa Neige degli Alcest, si può immaginare di volare, liberi come un gabbiano che sfiora le onde del mare, oppure di approcciare le roventi atmosfere che circondano i vulcani in eruzione.

Oltre a tutto quanto più su riportato, non bisogna dimenticare ciò che, probabilmente, è l’elemento fondante del post metal e quindi di “Janis“: la visionarietà. Come se si fosse soggetti ad assimilazioni di acido lisergico, compaiono all’interno della mente paesaggi che si possono toccare quasi con mano. Distese di prati verdi, cresciuti su dolci e arrotondate colline. Oppure, città buie, animate solo e soltanto dalla violenza post-apocalittica.

Le chitarre ritmiche sciorinano i propri accordi con la tecnica del palm-muting, rendendo il sound massiccio, roccioso, immaginabile come una catena montuosa invalicabile. Sound arricchito, poi, da deliziosi assoli che trapassano il cuore. Da non omettere la sezione ritmica, poiché è quella che detta i vari cambi di umore e di suono, passando dagli slow-tempo sino alla devastazione dei già menzionati blast-beats.

Uno stile così multiforme si svela complicato da tenere assieme, ma Rondeau e i suoi compagni si mostrano abili anche in questo, che si rivolge maggiormente alla capacità compositiva. La quale trova il suo acme nella hit (sic!) “Corrosion“, segnata da un ritornello molto orecchiabile, lontano dall’essere catchy e/o commerciale, ma che entra dentro sino al midollo. Poi, a bilanciare quest’improvviso scoppio di melodia, ci pensa “Stigmates du Temps“, poderosa song che rimette tutto a posto grazie a un dissonante assalto all’arma bianca guidato da riff duri, addirittura di derivazione thrash. La voce, distorta, sanguina per lo sforzo di uscire più arida possibile, anch’essa accostata, poi, alle clean vocals.

Janis” sembra così nato per entrare in profondità dell’animo umano per sondarne i sentimenti più profondi, da tirar fuori e mettere su un disco. Il che spiega il continuo saltellare fra emozioni morbide, vellutate, tenere, e sentimenti di rabbia, frustrazione e aggressività (“Envol de l’Âme“, “Avant la Fin“). Un’operazione assai complessa, che tuttavia trova pronti i Vestige, interpreti irreprensibile di uno stile difficile da sviluppare correttamente.

Così, per via delle meravigliose armonie che avvolgono l’opera, essa è sicuramente adatta a tutti. L’importante è non avere pregiudizi e liberare i pensieri per farne spazio ad altri. Per vivere momenti colorati a tinte pastello, trasognanti nella loro inetriorità.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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