Recensione: Jesters Moon
Topo Gigio parla due lingue, quasi tre, conosce un sacco di gente, e arriva dappertutto perchè è piccolo piccolo, non sono impazzito. Qualche anno fa ho sentito parlare di un gruppo americano che si chiamava Bangin Moon e proveniva da Portland nell’Oregon, appena ho avuto la possibilità di avere una connessione a Internet mi sono messo sulle tracce di questi ragazzi e sono risalito alla loro attuale manager Jane. Oltre ad essere un bella ragazza, e anche io le sono piaciuto, il sangue italiano non mente, Jane è una vera esperta di metal americano e mi ha prontamente informato che i Banging Moon avevano deciso di prendersi una pausa e che alcuni membri di questa band avevano fondato una nuova creatura chiamata Jesters Moon. Quindi mi sono fatto spedire dalle lontane coste statunitensi del Pacifico una copia del disco di debutto dei Jester Moon per saggiarne di persona il valore. Il gruppo ha preso a modello gli insegnamenti dei Manilla Road del periodo di “out of the abyss” e ha cercato di evolvere in maniera personale il sound di questi maestri storici del metal. I Jester Moon si affidano alla MIB Music una piccola ma attivissima label indipendente che sta realizzando platter notevoli a livello underground americano. Purtroppo gli intenti del gruppo vengono parzialmente compromessi da una produzione troppo grezza, forse si tratta di una scelta precisa che ricalca il sound dei Manilla Road del primo periodo, ma l’impatto non è lo stesso. Nel caso dei Manilla Road i souni vibranti e sporcati contribuiscono ad enfatizzare il tono epico e oscuro del loro metal inconfondibile, ma per i Jesters Moon si rivela una mossa sbagliata perchè aggiunge solo un senso generico di confusione al disco e abbassa il suo livello tecnico quasi al pari di una demo. Il disco si apre con la buona “Devils eyes” che si avvicina veramente molto al sound dei Manilla Road e gode di una ispirazione notevole, il ritornello trascinante ma non scontato promette grandi consensi dal vivo. La seconda “No clue” non presenta la stessa qualità compositiva e spesso mostra il gruppo alle prese con refrain discordanti e confusi, l’ottimo lavoro delle chitarre è vanificato dalla mancanza di continuità ritmica all’interno del pezzo. Molto grezza e più convincente “What’s my name” sembra registrata in uno scantinato, comunque il brano gode di un buon tiro e sembra più azzeccato rispetto alla traccia precedente. Il disco precipita con “User” un lento acustico che non ha nulla a cui spartire con il sound del gruppo e che spezza nettamente l’architettura del disco, oltretutto è pure un brano poco ispirato. Lunga e articolata “Amnesia” rimette in carreggiata la band e riporta l’ascoltatore alla corte dei migliori Manilla Road tra atmosfere epiche e grandi ritmiche oscure. Più semplice e decisamente meno efficace “You are on your own” non abbassa il tiro del disco perchè sempre impostata su riff potenti e incisivi, ma risulta troppo confusa a livello compositivo e ancora una volta la produzione è di qualità troppo bassa. Pessima “Destination known” è uno slow tempo che nel break centrale propone melodie paragonabili ai Pink Floyd e comunque non riesce a destare il minimo coinvolgimento in chi ascolta. Con “Man in a glass” il disco si riporta su livelli accettabili ma ancora una volta le buone idee dei Jesters Moon vengono vanificate da un songwriting incoerente e confuso che finisce per disorientare l’ascoltatore. Glissiamo sulle influenze gipsy di “Backstreets” perchè si rasenta il comico. A conti fatti mi aspettavo un disco di altissimo valore artistico e invece mi sono trovato ad ascoltare una pessima prova d’esordio, non solo, trovo che per immettere sul mercato un cd bisogna perlomeno raggiungere un livello di qualità sonora degna di essere apprezzata su un qualsiasi stereo, autoradio, walkman di sorta. Questo disco non ha la qualità sonora per essere considerato un platter ufficiale, sappiatelo.
1 The battle
2 Devils eyes
3 No Clue
4 What’s my name
5 User
6 Amnesia
7 You are on your own
8 Destination known
9 Man in a glass
10 Backstreets