Recensione: Join The Army
Quanto fu affascinante il panorama thrash-core degli anni ottanta, è poco percepibile – ancora oggi – da noi europei; poiché fu un vero e proprio movimento artistico vicino alla gente semplice, nata nelle strade delle grandi metropoli americane.
Ed è proprio lì che il thrash-core si sviluppò e si evolse in tutte le sue forme: una su tutte, il crossover. Il fatto che, poi, tali persone fossero toccate dai problemi sociali e quello che tanti giovani musicisti avessero un carattere ribelle e schietto; fecero sì che tale corrente artistica si esprimesse in forma violenta, aggressiva e assai diretta. Sia nelle musiche, sia nei temi affrontati nei testi.
Europei Discharge a parte, furono moltissimi i gruppi statunitensi degni di nome e di rispetto che rappresentarono questo stile, rendendolo di fatto immortale. Se si dovessero circoscrivere realtà importanti, si dovrebbero citare D.R.I., Gang Green, Crumbsuckers, Cryptic Slaughter, Body Count, Cro Mags, M.O.D., S.O.D., Uncle Slam…
Insomma, ognuno, con il proprio stile marcato da varie influenze – chi più e chi meno *-core – ha valorizzato il periodo con musica di qualità e con idee caratteristiche e azzeccate. Certo, la lista sarebbe assai più lunga e per ciascuna di tali band si potrebbe spendere un fiume di parole, poiché avevano trovato quell’ingrediente in grado di farle emergere con personalità. Chi piazzava l’hip-hop violentissimo, chi il rap (divenuto poi rap-core), chi l’hard-core e chi, come gli Stormtroopers Of Death (S.O.D.), sfondava il muro della velocità concependo (forse ancor prima dei Napalm Death) i primi vagiti del grind-core.
Ognuno con il proprio stile, ognuno ispirato dalle proprie personali esperienze; i gruppi furono influenzati da un momento storico ricco di spunti politico-sociali di rilevante importanza.
I californiani Suicidal Tendencies salirono sul podio delle top band più geniali e innovative e si attestarono come i più grandi ispiratori di sempre in campo thrash-core. Certo, sarebbe più corretto parlare di crossover cioè di thrash pesantemente corroborato da iniezioni hard-core; ma di là delle solite, impalpabili etichette, conta che Mike Muir & Co., ancora oggi, si esprimano in termini d’avanguardia non perdendo un briciolo di smalto (… guardatevi un loro concerto dal vivo!) ma anzi definendo i nuovi orientamenti del genere. Ovviamente non ci soffermeremo sulla produzione più recente, ma prendete comunque per buono quanto più sopra dichiarato.
Note biografiche a parte “Join the Army”, secondo full-length di una carriera iniziata nel 1981, è uno di quei dischi che non sfigura sotto la dicitura di «classico».
I brani, minimali nella loro struttura, hanno un impatto devastante e grazie allo stile messo in atto sono accattivanti e coinvolgenti e, per la prima volta, mettono consistenti dosi di thrash a servizio dell’hard-core e non il viceversa, come facevano quasi tutti.
Quaranta minuti di crossover all’ennesima potenza, sopratutto in termini di groove e non tanto di acceleratore pestato a manetta. Ed è proprio questo particolare modo di «groovare» che ha reso i Suicidal Tendencies dei mostri sacri della scena in quanto, a differenza della stra-maggioranza dei gruppi del tempo (scontatamente) «slayeriani», il quintetto ha resistito agli urti dei venti sonici provenienti dalla Bay Area. Senza mai cedere, senza mai farsi sradicare dalle proprie primigenie radici e dai propri istinti, né tantomeno farsi «comprare» dal music business che aveva investito con un certo peso New York e San Francisco.
Ritmicamente, parecchi brani scivolano poco distante dal mid-tempo, altri scattano in maniera contenuta valorizzando ogni singolo stop’n’go; enfatizzando ogni sfumatura armonica di cui il platter, sapientemente, è molto ricco. Quindi, ritornelli azzeccati, temi che avvicinano i ribelli: i ragazzi appena adottati dall’asfalto bollente dei vicoli californiani (“Possessed To Skate” disegnerà il manifesto del crossover più impetuoso e divertente partorito nel corso della Storia). Le mazzate sparate in faccia da pezzi come la tagliente title-track, l’arrogante “A Little Each Day”, l’ispirata “The Prisoner”, la critica “Human Guinea Pig”, il capolavoro concettuale già menzionato “Possessed To Skate” o l’autocelebrativa “Cyco”, hanno impresso nella memoria del genere un timbro a sangue. Quello stesso che vedeva i Suicidal Tendencies mettere a ferro e fuoco i mini-locali o le palestre delle scuole di periferia invece che la «downtown-male» delle metropoli.
Incriminati da tanti come appartenenti a gang della peggior specie, nella sostanza dei fatti i cinque sono stati dei grandi interpreti, seguiti nel corso degli anni da numerose band che in “Join the Army” non avevano solo trovato della musica vincente, ma una vera, rinnovata e profonda fonte d’ispirazione. Certo, non ci si aspetti una produzione d’alto livello. Anzi, mi auguro che più di qualcuno sappia valorizzare tutte le sfumature sporche e sudate che grattano i coni e alimentano segnali sfasati da cavi ammuffiti nell’umidità di qualche garage abbandonato.
Un vero e proprio classico che, oggi, senza tante remore, possiamo tranquillamente definire «manifesto del crossover e precursore di un nuovo e magnifico modo di intendere la musica».
Nicola Furlan
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Track-list:
1. Suicidal Maniac 2:57
2. Join The Army 3:38
3. You Got, I Want 2:55
4. A Little Each Day 4:09
5. The Prisoner 2:54
6. War Inside My Head 3:51
7. Feel Your Pain 3:27
8. Human Guinea Pig 2:06
9. Possessed To Skate 2:34
10. No Name, No Words 2:35
11. Cyco 2:13
12. Two Wrongs Don’t Make A Right (But They Make Me Feel A Whole Lot Better) 2:50
13. Looking In Your Eyes 2:50
All tracks 39 min. ca.
Line-up:
Mike Muir – Voce
Rock George – Chitarra
Louis Mayorga – Basso
R.J. Herrera – Batteria