Recensione: Justice

Di Fabio Vellata - 2 Luglio 2010 - 0:00
Justice
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Anno: 2010
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78

Quando si parla di Southern Rock, i nomi che affiorano alla mente in qualità di capisaldi del settore non sono poi molti: Lynyrd Skynyrd, The Outlaws, 38 Special, Doc Holliday, Allman Brothers, Marshall Tucker Band e naturalmente, Molly Hatchet.
Un nucleo storico di band seminali che ha segnato e codificato i canoni di uno stile peculiare ed unico, costruito sull’indissolubile fusione di rock, blues e country, in cui sentimenti “rurali” e storie di vita vissuta tratteggiano alcune delle tematiche predilette e maggiormente frequentate.

Formati nel 1971 e giunti al ragguardevolissimo traguardo del dodicesimo studio album in una carriera d’eccellente valenza artistica, i veterani Molly Hatchet rappresentano da sempre un caso “atipico” all’interno della ristretta scena Southern.
Caratterizzato da un’iconografia epico-guerresca dai contorni fantasy, il gruppo di Dave Hlubek e Bobby Ingram costituisce sin dagli esordi la versione più “heavy” del genere, in virtù di un approccio fatto non solo di cadenzate e ciondolanti armonie blues-rock, ma anche (e soprattutto), di tonanti sventagliate chitarristiche, ritmiche accese ed assolo infiniti, trademark pressoché unico e difficilmente riscontrabile in altre realtà affiliate.

“Justice”, nuovissimo ed al solito fiammante come back del combo di Jacksonville (patria anche dei “cugini” Lynyrd Skynyrd) arriva a perpetuare questa consolidata tradizione, inserendosi in modo assolutamente naturale in quella che – nel complesso – è l’essenza pura degli Hatchet.
A partire dalla cover – come sempre manifestazione d’epicità degna dei Manowar – proseguendo con gli attacchi di doppia chitarra disseminati in ogni dove, per finire con il caratteristico profumo di romanticismo “sudista”, ogni particolare permane fedele a se stesso, in una continuità che trova brillanti riscontri direttamente nel valore del songwriting e del risultato finale, ancora una volta degno d’ottima considerazione.

Non paragonabile forse, ai grandi capolavori entrati di diritto nella leggenda (tra i quali occorre ovviamente citare “Flirtin’ With Disaster” della prima produzione, seguito a ruota dallo straordinario ed esaltante “Devil’s Canyon” per quanto riguarda il periodo recente), “Justice” rende con tutta probabilità miglior tributo alle radici della band del predecessore – discreto ma relativamente “ordinario” – “Warriors of The Rainbows Bridge”.
Alcuni pezzi, in effetti, paiono degni del confronto con il glorioso passato, ma è comunque l’intera tracklist ad apparire di qualità medio-alta.

Eloquente sin dalle prima battute, il disco offre un buon esordio con “Been To Heaven – Been To Hell”, traccia d’apertura che introduce nel tipico “mood” heavy southern, condito da pianoforti e cadenze boogie ed amplificato in un gustoso chorus, evidente omaggio per l’amata città natale.
Più drammatiche e meno festanti, “Gonna Live ‘Til I Die” e “Deep Water” si colorano di connotazioni più vicine al classico heavy rock, perdendo per qualche istante il potente contatto con la radice blues-country, non senza tuttavia, conseguire risultati più che degni.
La brillantezza di “Deep Water”, “Tomorrow And Forevers”, “American Pride” e “Vengenace” richiama poi nuova linfa ad un songwriting sempre memore della propria provenienza, fiero ed indomito nell’anima, scolpito a fuoco con la consueta ed immancabile rincorsa di chitarre.
Un paio di passaggi “slow” intrisi d’innato e sentito romanticismo (“Fly On Wings Of Angels” e “As Heaven Is Forever”), sono poi il preludio alla conclusiva e lunga title track, come da copione, summa dell’arte dei Molly Hatchet: epica, emozionante, cinematografica, sontuosa nella potenza d’immagini.
Ad ergersi nel ruolo di prim’attori, i due maestri della sei corde Dave Hlubek e Bobby Ingram, costantemente impegnati nel cesellare riff di matrice southern, venati da una commovente epicità e protagonisti, nella parte finale del brano, dell’immancabile accelerazione condotta tra una pioggia fiammeggiante di accordi ed assolo a perdifiato.

Mai banali, capaci in ogni occasione di regalare qualche ottimo momento di heavy rock sudista ed ancora fautori indefessi del caratteristico ed indomabile spirito redneck, i Molly Hatchet rispondono agli altrettanto leggendari conterranei Lynyrd Skynyrd – autori lo scorso anno, del capolavoro “God And Guns” – con un album che probabilmente capolavoro non è, ma che, in ogni caso, si ascolta con grande piacere e si rivela oltremodo sufficiente per onorare un blasone ed una storia che i tanti fan dispersi in giro per il globo non mancheranno d’apprezzare, mostrando con orgoglio, l’appartenenza ad una nobiltà southern che invecchia più che dignitosamente.

Una garanzia.

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Tracklist:

01.    Been To Heaven, Been To Hell
02.    Safe In My Skin
03.    Deep Water
04.    American Pride
05.    Gonna Live ‘Til I Die
06.    Fly On Wings Of Angels (Somer’s Song)
07.    As Heaven Is Forever
08.    Tomorrows And Forevers
09.    Vengenace
10.    In The Darkness Of The Light
11.    Justice

Line Up:

Bobby Ingram – Chitarra / Cori
Phil McCormack – Voce
Dave Hlubek – Chitarra
John Galvin – Tastiere / Cori
Tim Lindsey – Basso / Cori
Shawn Beamer – Batteria

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