Recensione: Kaarnaköydet
“Kaarnaköydet” è il debutto sulla lunga distanza dei finlandesi Kouta che ha seguito l’EP ‘Aarnihauta‘ del 2022. In quintetto si cimenta in un folk metal sfumato di viking/black.
Il risultato musicale è una sorta di riferimento a quanto sviluppato nel tempo dai conterranei Moonsorrow, soprattutto per ciò che riguarda certe aperture strumentali dal carattere marcatamente epico.
Siamo comunque ben lontani dai capolavori artistici dei maestri citati. Qui il risultato è decisamente più ‘pop’, meno verace e con meno identità artistica (…e con molta più carne al fuoco). Sono molti i rimandi ad espressioni compositive quali heavy melodico dai tratti sinfonici e non sempre questo collage di ispirazioni sfocia in un insieme organico e musicalmente efficace. Inoltre trovo i suoni troppo puliti e troppo amalgamati tra loro per garantire a “Kaarnaköydet” di pulsare di ferocia come si coglie da molti passaggi. Dove si dovrebbe incidere maggiormente in violenza e veemenza, si inseriscono le tastiere. Laddove invece il quintetto calca il piede sull’acceleratore sono le soluzioni groovy dei riffing o l’eccesso di melodia a non garantire la realizzazione del mood atteso che tentenna e non si realizza.
Il disco, si percepisce chiaramente, nasce per certo da un grande lavoro in studio, da una ricerca non scontata per far rendere al massimo ogni singolo passaggio e da una passione di livello considerevole. Riguardo questo ultimo punto si pensi che la registrazione delle parti di batteria s’è svolta in una delle tante gathie, una sorta di capanna tipica dei territori dei sami, popolo indigeno originario delle gelide terre del nord del mondo.
In conclusione, “Kaarnaköydet” è un discreto album folk, molto elaborato e ricamato in ogni passaggio, compresa la ricerca della resa qualitativa del suono.
La mia impressione è che se avessero lavorato più di cuore e meno di testa, questo album avrebbe potuto esprimersi tanto, tanto meglio, ma è gusto personale. Probabilmente gli amanti del folk a 360° sapranno apprezzarlo più di me. Per come la vedo io, il folk deve essere diretto, sia che sia da festa, sia che esprima disperazione pagana. Qui non abbiamo né l’una, né l’altra.