Recensione: Kadavar
I Kadavar sono ragazzi dalle idee molto chiare. Dal 2006, anno di nascita del monicker, hanno iniziato un processo di evoluzione e messa a punto del proprio sound che li ha condotti, nel giro di due anni, alla produzione di una demo, un EP e finalmente, nel 2009, dell’album di debutto, intitolato semplicemente Kadavar.
La dichiarazione d’intenti è di suonare putrido e marcescente death metal, sulle orme della vecchia scuola e dei suoi grandi alfieri, e viene gridata a gran voce da questi giovani discepoli, i quali dimostrano di aver studiato avidamente la lezione e sciorinano, nei 9 brani che compongono il disco, tutti quegli elementi che più li fanno godere quando loro stessi decidono di ascoltare la loro musica preferita.
Il sound è dunque di quelli che ti aggrediscono, con la carica e l’impatto incosciente di un’armata di giovani reclute incazzate con il coltello tra i denti. Le influenze sono presto palesate, e neanche troppo velatamente: la sulfurea oscurità dei Morbid Angel, l’abrasività dei Carcass, la morbosa incisività degli Obituary e gli eleganti spunti strumentali marchio di fabbrica degli incommensurabili Death, sono solo le più appariscenti.
La preparazione tecnica delle varie parti in gioco consente di dominare anche il ritmo più rapido e malato e, a questo proposito, meritano una menzione i due axemen Luca Braggion e Lorenzo “Evil Jeff” Bidoli, perfetti nel disegnare trame ruvide, intricate ed impregnate di cattiveria, ma quando serve anche melodiche e malinconiche, come nella stupenda strumentale di chiusura.
Ottimo è anche il lavoro di Luca Colucci, bassista che non può non avere come idolo il signor Steve DiGiorgio per come interpreta il ruolo del suo strumento all’interno delle composizioni e che, come se non bastasse, è anche la voce del combo, versatile e brutale nelle sue mille sfaccettature, che passa dall’orco di caverna alla carta vetrata a la Jeff Walker con sorprendente disinvoltura.
Senza dimenticare il contributo dell’ora defezionario drummer Davide Bacchetta che, pulito e preciso quanto basta nello svolgere il suo compito di propulsore inestinguibile, non cerca troppi orpelli e pensa solo a macinare blast beat senza sosta.
La velocità è qualcosa che i Kadavar hanno nel DNA e l’album non conosce pause, nemmeno per gli assoli neoclassici che sgorgano di tanto in tanto dalla roccia aguzza del loro suono. Ben dosati sono gli inserti di tastiera, ad amplificare le atmosfere inquietanti che dona il disco. Gli episodi più riusciti sono, a mio parere, proprio i tre brani, che componevano il precedente EP Conjuring The Void e che, con la nuova produzione acquistano nuovo vigore e freschezza; si tratta della brutale Return To Ashes, della cangiante e spigolosa Global Collapse e della potentissima Morbid Sense of Weakness, brano più lungo dell’intero disco che sembra scaturire direttamente dagli Inferi.
Con la già citata, splendida, Mirror of Lies che scende gelida come la carezza finale dell’angelo della morte, si chiude un album dalle tinte molto varie, godibile ed estremamente piacevole all’ascolto, ma che, seppur nella sua elogiabile policromia, non lascia trasparire grandi novità di sorta. Si notano estreme potenzialità che però viaggiano su binari dritti e ben definiti già da molti e da molto tempo.
Sicuramente è un esordio che merita un plauso, che gode di una buona produzione, adeguatamente non patinata, e di un artwork curato; anche alla luce della giovanissima età del trio milanese, non lascerà insensibili gli appassionati, che però, secondo me, devono aspettarsi ancora di più per il prosieguo della carriera dei Kadavar, anche perché altrimenti….quanta veemenza sprecata!
Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro
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Tracklist
1. From Flesh to Sorrow 04:13
2. Return to Ashes 03:53
3. Behind the Storm 04:39
4. Global Collapse 04:59
5. Towards the Abyss 03:48
6. Morbid Sense of Weakness 05:34
7. Lust of Mortal Decay 03:47
8. Ghost of Revelation 03:34
9. Mirror of Lies 03:11
Total playing time 37:38