Recensione: Kairos
Dopo il primo periodo produttivo, quello degli schietti e sfrontati dischi di inizio carriera, sono da sempre convinto che con “Roots” del 1996 gli storici thrasher brasiliani Sepultura abbiano chiuso il loro secondo ciclo, quello più importante. Quel ciclo che ha visto la produzione di capolavori immortali, alla pari delle meraviglie dell’intero movimento mondiale, indipendentemente dalla nazione che ne ha dato i natali. Questo perché, volendo caratterizzare il genere per ‘zona-geografica’, in Europa, così come negli States, il thrash ha avuto grande presa anche in Sudamerica. E i Sepultura ne sono da sempre stati i più grandi interpreti.
Capolavori dicevamo: ebbene sì, “Beneath The Remains”, “Arise” e “Chaos A.D.”, rispettivamente usciti nel 1989, 1991 e 1993, sono stati il cuore della cultura thrash del Brasile, ma non solo. Hanno dato il via a un modo di comporre ricco di elementi, prima brillante per quanto fosse in grado di esprimere potenza, poi carico di groove, grazie alle ‘primitive’ attitudini ritmiche dell’ex frontman Max Cavalera. Poi c’è stato il trauma dello split con Max e, come conseguenza, pure nuovi dischi, sempre più asettici e poco convincenti: “Against” (1998), “Nation” (2001) e “Roorback” (2003), un terzo ciclo produttivo di cui questa trilogia ne ha costituito l’ossatura. Un’ossatura debole, priva di spina dorsale e per tal motivo in grado di andare ben poco lontano, martoriata com’è stata da critica e da riscontri ben poco incoraggianti.
Credo che chiunque avesse ormai perso la speranza! Solo un colpo di coda avrebbe potuto dare il via a una nuova inerzia in grado di spingere nuovamente in superficie il nome di questa storica formazione, scivolata in basso da brani sfuggenti, davvero mediocri. Ma, come un lampo a ciel sereno, nel 2006 esce sul mercato “Dante XXI”, tanto inatteso quanto sperimentale decimo studio album della band di Belo Horizonte. Un disco che inevitabilmente spacca a metà le critiche. Chi da una parte lo ritiene amorfo, chi compatto e concreto. A seguire c’è “A-Lex”, modesta ripresa delle (potenzialmente) ottime idee concentrate nel concept sulla Divina Commedia ma, ahimè, concretizzate in un altrettanto concept al limite dell’inconcludente.
2011: “Kairos”.
“Kairos”: un nuovo ciclo produttivo? Perché questa domanda? Perché la nuova fatica in studio è qualcosa che non ci azzecca nulla con i due ultimi album citati. Paradossalmente è allineata al più datato passato produttivo di Paulo Jr. e compagni invece che a quello più recente, come chiunque si sarebbe atteso. Che dire? Che mi piace, per due motivi: il primo è che ‘suona Sepultura’ come non se ne sentiva da almeno quindici anni, il secondo è che non disdegna, ancora una volta, qualche chicca compositivo/sperimentale coerente con la famosa voglia di abbracciare più stili che da sempre caratterizza l’operato del chitarrista Andreas Kisser – si pensi ai side-project Sexoturica, agli Asesino piuttosto che all’interessante full-length solista “Hubris I & II”.
“Kairos” è, quindi, un disco prevalentemente thrash il cui aspetto compositivo è puntellato da qualche sperimentazione, sopratutto riguardo alle sezioni soliste, acide e distese su tappeti ritmici non sempre improntati sulla velocità. Questi ultimi, spesso cadenzati, si rivelano ricamati da delicati arrangiamenti e narrati da armonie oscure che ne adombrano il mood complessivo. Non aspettatevi quindi la dinamicità di un tempo. Questi quindici brani sono sì impattanti, ma vi travolgeranno con sadica ‘lentezza’ perché di immediatezza non ce n’è molta, almeno apparentemente. “Kairos” è, infatti, molto meno banale di quello che possa sembrare a un primo ascolto. Assorbe in minima parte l’ossessività di “Dante XXI”, ma pesca a piene mani nel mare di idee che ne hanno reso immortale il sound ovvero dal thrash granitico di quando ancora Max Cavalera presenziava al microfono. Ne deriva una combinazione stilistica inusuale, potenzialmente vincente.
Derrick Green non sfigura, anzi. Il gigante di colore, frontman nella band dal 1997, è autore di una prova vocale perfetta, aggressiva e corposa, ispirata e capace di enfatizzare il riffing. Altrettanto non si può dire per il drumming. Non perché Jean Dolabella non sia capace, ma perché è praticamente impossibile che possa conferire al sound dei Sepultura l’impatto che il suo predecessore era in grado di fornire. E questo forse, ancora oggi e da tempo, è il più evidente limite della storia dell’ensemble. La produzione abbraccia il tutto con ruvidezza e dona al disco un’aurea offuscata, dai contorni da definire di ascolto in ascolto. Ritengo sia perfettamente adeguata alle idee concepite in sala prove.
Che dire… reputo “Kairos” un nuovo punto di partenza che ben codifica il thrash attuale, così avvezzo a strizzar l’occhio al passato. Nel contempo risulta interessante, innovativo e godibile. Il tutto è perfettamente riepilogato nella title-track che, nel caso, potrebbe essere l’assaggio invogliante l’acquisto. Dovesse incontrare il vostro gusto, ordinate l’intero menù e non ne rimarrete delusi.
Riassumendo i concetti, “Kairos” è, forse, l’equilibrio che ci voleva. Appare il disco della stabilità compositiva e ho la mezza certezza che ridonerà credibilità a una band a volte poco compresa ma, ovviamente, responsabile di se stessa. Un buon album! E non credo sia una soluzione accomodante…
Nicola Furlan
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Track-list:
1. Spectrum 4:03
2. Kairos 3:37
3. Relentless 3:36
4. 2011 0:30
5. Just One Fix (Ministry cover) 3:33
6. Dialog 4:57
7. Mask 4:31
8. 1433 0:31
9. Seethe 2:27
10. Born Strong 4:40
11. Embrace The Storm 3:32
12. 5772 0:29
13. No One Will Stand 3:17
14. Structure Violence (Azzes) 5:39
15. 4648 8:22
All tracks 54 min.
Line-up:
Derrick Green – Vocals
Andreas Kisser – Guitars
Paulo Jr. – Bass
Jean Dolabella – Drums