Recensione: Kali Yuga Bizarre

Di Matteo Bovio - 12 Dicembre 2001 - 0:00
Kali Yuga Bizarre
Band: Aborym
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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80

Ci sono degli album che sono destinati a pochi: album che non possono essere capiti da chi non cerca in essi niente oltre a quello che sono. “Kali Yuga Bizarre” rientra in questa categoria; è uno di quei lavori che va preso per intero, e senza riserva alcuna. Non potete amare solo le parti black, solo quelle elettroniche, solo quelle ambient o via dicendo… Dovrete apprezzarlo perchè l’avete capito e vi ci siete immersi. In questo risiede la grandezza di un simile cd. E con questo voglio giustificare anche la valutazione che le ho assegnato: non un voto eccessivamente alto perchè non ho la presunzione di voler far passare per capolavoro quello che a più di uno, non ne dubito, sarà sembrata una schifezza. Con questo album gli Aborym riaprono le porte al metal italiano: che piaccia o no hanno saputo osare, e hanno saputo partorire una creatura nuova, che non ha precedenti, che deve necessariamente essere invidiata all’estero. Il primo impatto con il lavoro mi aveva lasciato sconcertato nonchè irritato: non avevo ancora compreso qual’era il filo conduttore che univa il tutto, mi ero perso in ciò che mi sembrava niente più che un minestrone di influenze slegate fra loro. Solo in un secondo tempo ho saputo capire la bellezza e l’unicità ricercata delle 9 tracce. Ho apprezzato in primo luogo il coraggio del gruppo, che ha saputo osare, e che ha palesemente voluto creare qualcosa di pretenzioso. Ora ad ogni ascolto non posso fare a meno di invidiare la mente creatrice che sta dietro a tutto ciò… Tra gli episodi più incredibili sta sicuramente la prima traccia, “Wehrmacht Kali Ma”. Già da questi primi minuti non è possibile ignorare il desiderio di innovazione e lo slancio del lavoro. A sostegno di questo ribaltamento di valori (e non esagero quando affermo che quest’album calpesta i fondamenti del metal per cercare di essere uguale solo a sè stesso) la citazione dal preludio di “Penombre” di Emilio Praga. Geniale poi l’inserimento di uno stacco elettronico in “Horrenda Peccata Christi”, ancora una volta a farci capire come il gruppo rifiuti di essere uno tra i tanti: non per la scelta del connubio tra metal ed elettronica (anche se molti altri sono gli elementi in ballo) ma per la realizzazione stessa di questa mistura. Le perle del lavoro sono però “Hellraiser” e “Roma Divina Urbs”. La prima è carica di spiritualità, fa veramente volare l’ascoltatore ed è esemplare per la scelta dei suoni, a mio parere ineccepibile. La seconda, che a un ascolto superficiale potrebbe sembrare una semplice unione di musica medievale e black metal, è invece la traccia, tra le nove qui presenti, più originale e che più mi esalta ad ogni ascolto. Devono stare alla larga da “Kali Yuga Bizarre” tutti coloro che vogliono il metal ancorato alle sue radici, mentre lo consiglio fortemente a chi ha un concetto di estremo che comprende anche EBM, noise e tutte le più disparate influenze non propriamente metal. L’esordio del gruppo romano è un terno al lotto: può andarvi bene, e ne ricaverete grandi soddisfazioni, nel caso contrario avrete semplicemente aggiunto un album sulla vostra mensola, e probabilmente lì rimarra per la maggior parte del tempo. Consiglio infine di dimenticarvi di qualunque pregiudizio ideologico: la posizione degli Aborym è molto esplicita, ma farvi paranoie in tale senso vi impedirà di gustarvi a pieno quello che, credetemi, è un potenziale capolavoro.
Matteo Bovio

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