Recensione: Kara Kam
Nel calderone folk metal mediorientale ed asiatico, attirano l’attenzione i Kara Han, autori di “Kara Kam”, il loro terzo album. Fondati nel 2016 a Istanbul da Nazif Tunç Demirağ la band unisce melodie tratte dall’antico retaggio turco con il metal, in patria “figlio” dei pionieri Mezarkabul (Pentagram). Ma andiamo con ordine.
Una fugace contestualizzazione generale
Il nome della band deriva da “Kara Han”, figlio del Dio Tengri nel Tengrismo e, di conseguenza, il lato folk varia da suggestioni centro asiatiche a quelle arabesk ed ottomane (quest’ultime specie nell’EP “Osmanlı Tokadı”). A volte per enfatizzare certe scelte appaiono strumenti tradizionali come dombra, ney e zurna mentre a livello di cantato c’è raramente il throath singing o contaminazioni ad esso vicine. Di fatto le linee vocali – in lingua turca – viaggiano perlopiù su traiettorie classiche e piuttosto grezze del metal, assecondando la base di questo lavoro e del gruppo stesso. Abbiamo quindi una tendenza heavy e thrash con un istinto più o meno complesso nella dinamica dei pezzi.
La recensione di “Kara Kam”
“Kara Kam” segue il filo conduttore di cui cui sopra, in un excursus di undici canzoni per poco più di trenta minuti di durata. Lungo tutto l’album si avvertono molte similitudini con alcuni loro connazionali, come Ogün sanlısoy (dell’album “Ben”), i già citati Mezarkabul, nonché gruppi internazionali come i primi Metallica. Anche le linee vocali seguono perlopiù tali influenze, producendo nell’insieme tre canzoni fondamentalmente buone.
Quanto al meglio che il presente può offrire c’è “Asla Töreyi Terk Etme” molto kazaka/centro asiatica nella sua epicità. Il pezzo entusiasma maggiormente durante le implacabili scorribande strumentali trainate dal dombra.
“Tengri Biz Menen” attira invece con un animo riflessivo, ed in qualche modo poeticamente romantico grazie ad un cantato più pulito. Equilibrata l’esplorazione tra sonorità acustiche ed elettriche.
Nella title-track -sorta di strumentale – troviamo degli sperimentalismi arditi. Coraggiosi i vocalizzi etnici, le percussioni di stampo sciamanico ed i passaggi di chitarra che assecondano tale mood. Degno di nota pure il throath singing.
Per quanto riguarda il resto dell’opera, si possono trovare qua e là dei punti carini, ma nel complesso non coinvolgono granché. Sembra che manchi qualcosa per rendere le canzoni più personali e, di conseguenza, per spiccare per davvero. Pure il cantato grezzo è responsabile di questa sensazione. Fosse stato un EP con le canzoni poc’anzi suggerite, “Kara Kam avrebbe guadagnato qualche punto in più.
Conclusione
Con “Kara Kam” i Kara Han propongono un album che nella sua interezza chiama una rielaborazione nel sound e nel songwriting. Da rivedere pure le linee vocali di stampo heavy metal grezzo. Nei Nostri si percepisce comunque una capacità tecnica molto valida e di potenzialità per migliorare ce ne sono. E’ per questo motivo che tale opera è stata meritevole di recensione, al di là del voto. La produzione è pressoché valida.
I turchi possono essere paragonati ai loro connazionali Yaşru per le affinità centro asiatiche ed ai Mezarkabul (di “Anatolia”) per suggestioni più locali. Alla lontana possono esserci echi di Nine Treasures e Tengger Cavalry. Vediamo con il tempo come si evolveranno i Kara Han. Da tenere d’occhio
Elisa “SoulMysteries” Tonini