Recensione: Ke bidiwa Armageddon
Come diceva mio nonno Gualtiero “la vita è come una scatola di cioccolatini: puoi star sicuro che quelli buoni li ha già presi qualcun altro”. Beh ragazzi miei, vi dirò che nonno Germano si sbagliava, almeno questa volta. Gli uKhahalamba da quel che mi risulta infatti non se li è ancora presi nessuna etichetta, ma potete stare certi che buoni lo sono, e tanto. La band originaria del Botswana di cui ci eravamo già occupati nel caso del demo di debutto “Okavangu Tulupulu” torna oggi a farsi sentire con questo EP autoprodotto, faticosamente realizzato in circostanze proibitive. Nel corso dell’ultimo anno infatti la formazione africana ha dovuto affrontare avversità di ogni tipo, fra cui disastri naturali e attacchi di animali feroci. Ora finalmente il nuovo demo è pronto, e le sorprese non mancheranno.
Il nuovo lavoro del cult-act più rivoluzionario del decennio si compone anche stavolta di una musicassetta. Purtroppo però solo il lato A è ascoltabile, dato che il lato B è stato sovrascritto per registrare l’esclusiva intervista raccolta con il leader della band, Kulduro Mutonbu, in viaggio in Italia sotto carnevale. La recensione si trova quindi a essere suo malgrado incompleta, ma Kulduro ci garantisce che i pezzi migliori erano tutti sul lato A. Si parte dunque con ‘4…2…1…A re tsamaye!’ (‘4…2…1…Let’s Go!’), fulminea scheggia di grindcore melodico che in meno di un minuto ci vomita in faccia le sue violentissime scale neoclassiche iperdistorte, il classico doppio drumming alternato incrociato (ormai trademark degli africani) e uno screaming al vetriolo sovrapposto a barriti di elefanti (!). Si evidenzia subito la grande personalità della band, abile nel sovrappore alle partiture tipiche del metal estremo le influenze folk della cultura autoctona.
La seconda traccia è un lavoro impressionante, forse il più ambizioso e di gran lunga il migliore mai composto dagli uKhahlamba, intitolato ‘Ke bidiwa Armageddon’ (‘I Am Armageddon’). Trattasi di una suite di ventuno minuti e dodici secondi ispirata a una leggenda popolare africana, nella quale alcuni studiosi di antropologia hanno rintracciato una possibile fonte d’ispirazione per il celebre romanzo ‘Io Sono Leggenda’. Il brano mescola le influenze più disparate, spesso sovrapponendole in modalità innovative e originali: avantgarde, techno-death, porngrind, epic-core, speed rock, flamenco, deathfolk, grey metal, ambient, zeuhl, brutal prog, raga bluegrass, hard bop, proto-liscio romagnolo e post-black si mescolano in un’alchimia letale e imprevedibile, che apre nuove porte alle sperimentazione in campo metal e non. Più di ogni altra cosa sorprende la capacità degli uKhahlamba di trovare sempre quella melodia nascosta ma vincente, quell’armonia azzeccata che permette all’ascolto di fluire naturale, senza che la caratura tecnica (realmente estrema) della band sia mai di peso per la fruibilità del brano. L’ultimo pezzo del lato A è una cover (una delle cinque originariamente incluse sull’album, ma ricordiamo che le altre quattro erano sul lato B, sfortunatamente sovrascritto). Il brano scelto è ‘Help!’ dei Beatles, qui tradotto in lingua tsawana come ‘Ke kopa thuso tswee!’. Il pezzo è molto velocizzato rispetto all’originale, infatti dura soltanto quarantotto secondi e mezzo… ma che quarantotto secondi e mezzo ragazzi! Come diceva mio nonno Gervasio “chi va piano va sano e va lontano, chi va forte… arriva prima!”. E gli uKhahlamba vanno più forte di tutti, trasformando il classico del rock in una travolgente cavalcata doom dall’arioso ritornello, una sorta di inimmaginabile punto d’incontro fra Jefferson Airplane, Thergothon e Cindy Lauper.
Finisce così, dopo meno di venticinque minuti, la seconda fatica degli uKhahlamba. E c’è da dire che gli africani sembrano avere davvero superato se stessi, dimostrando che il loro primo lavoro non era soltanto una meteora. Noi continuiamo ad augurarci che qualche label occidentale li voglia scritturare nel loro rooster, perché, diciamolo apertamente, con tutta la schifiltezza che c’è in giro di questi tempi, gruppi così sono davvero manna dal cielo. Non mi resta che rimandarvi al loro myspace semi-ufficioso (per ora ancora misteriosamente spoglio…) e lasciarvi con il detto preferito di mio nonno Gertrudo: “BUY OR FUCKIN’ DIE!!!”.
Angelo Angelini
Tracklist:
1. 4…2…1…A re tsamaye! (0:59)
2. Ke bidiwa Armageddon (21:12)
3. Ke kopa thuso tswee! (Beatles cover, 0:48:50)
Line up:
Takabal Mutonbu: grunt vocals, led guitars, boomwhacker.
Manon: clean vocals, guitars, bass, banjo, xalam, keiboards, theremin, udu, Denis d’Or.
Brisafer “Dalpu G.” Nat: drums.
Kulduro Mutonbu: drums, percussions.
Hakuna (R.I.P.): kazoo, great horn, screams, raping.