Recensione: Killing Peace
Sono passati diciotto anni dal controverso In Search of Sanity, fallimentare sottomissione alle logiche del mercato americano che aveva rinnegato l’irruenza punkish degli esordi a favore di un thrash più controllato e attento alle melodie. Non era bastato l’innesto di Steve Grimmett, già frontman degli ottimi Grim Reaper, per garantire il definitivo salto di qualità ai britannici Onslaught, che si erano invece persi nel marasma di gruppi lanciati sulle stesse coordinate stilistiche. Lo scioglimento, annunciato due anni dopo, avrebbe portato con sé strascichi di polemiche e promesse tradite.
Oggi Onslaught è una band rinnovata, che ritrova al microfono Sy Keeler (già in azione sul solido The Force), Nige Rockett (storica ascia degli inglesi), la sezione ritmica Hinder – Grice e registra l’ingresso del chitarrista Alan Jordan. Dall’atto della reunion, datato 2005, il quintetto si è dedicato anima e corpo alla stesura di materiale inedito, appagando nei tempi morti l’astinenza dai palchi europei. Killing Peace nasce dalla volontà di recuperare le sonorità al vetriolo degli esordi, tonificate da una produzione idonea ma che non risulti datata: un tentativo, insomma, di restituire ai fan il marchio di fabbrica più autentico, maturato in tempi che definire sospetti sarebbe eufemistico.
Ripetuti ascolti non cancellano la prima impressione: Killing Peace è un album formalmente ineccepibile, ma spoglio di quel feeling che rendeva imperdibili, pur nella loro pochezza tecnica, i ruggiti di Power from Hell e The Force. Si avverte la mano pesante di Andy Sneap, ma non basta un mago della consolle a mascherare i limiti di un songwriting ripetitivo e avaro di spunti brillanti: esaurite le prime cartucce (le spedite Burn e Killing Peace), buona parte del disco si trascina stancamente senza lasciare traccia, quasi fosse un esercizio di stile ripetuto con scarsa convinzione. Keeler, formidabile nel suo piglio lunatico, predica in un deserto di riff approssimativi (Pain), adoperandosi per quanto possibile nel tentativo di risollevare una tracklist piuttosto altalenante. Gli Onslaught non hanno profanato un mito vendendosi al miglior offerente, ma si sono limitati a foderare le topiche del genere di suoni ruvidi e moderni: il risultato è un lavoro che si avvicina più all’operato degli Arch Enemy che alla millantata rinascita della vecchia scuola, con buona pace dei tanti nostalgici accorsi all’appello.
La sufficienza, sudata, premia il binomio iniziale e il colpo di coda Shock & Awe (non a caso scelto quale antipasto dell’album), ma non vuole essere indulgente nei confronti di un monicker da cui era lecito attendersi qualcosa in più: Killing Peace sa di plastica e non saranno dieci minuti di furore ad assicurare il successo sfiorato in passato. Avvicinarsi con cautela.
Federico ‘Immanitas’ Mahmoud
Tracklist:
01 Burn
02 Killing Peace
03 Destroyer of Worlds
04 Pain
05 A Prayer for the Dead
06 Tested to Destruction
07 Twisted Jesus
08 Planting Seeds of Hate
09 Shock & Awe