Recensione: Killing Season
Quattordici anni intercorrono fra “Act III” e “The Art of Dying”: quasi tre lustri separano il loro ultimo capolavoro dal quarto attesissimo studio album, capace di promuovere ancora una volta i Death Angel come una delle più apprezzate thrash metal band del pianeta. L’attesa degli anni a seguire induceva qualcuno a presagire il peggio. Poi l’annuncio nell’estate 2006: i Death Angel erano al lavoro sulla composizione di nuovi brani.
La notizia rappresentò la conferma che il quintetto si era rimesso definitivamente in pista. Così come a fine anni ottanta fu capace di produrre tre full length in tre anni, anche ora la produzione lascia intendere una certa continuità. I tour, vincenti, brillanti per entuasiasmo, rivelano una seconda giovinezza, attiva e spontanea come poche altre, tanto on stage quanto in studio di registrazione. C’è da ricordare che i cinque iniziarono a suonare giovanissimi (il batterista Andy Galeon aveva 11 anni!), non si usurarono a suon di vita estrema come molti colleghi illustri e furono capaci di portare avanti una vita personale responsabile e professionalmente ineccepibile.
Diciamolo subito: “Killing Season” è un grande disco perchè ricco di tutte le melodie e le ritmiche che identificano il loro percorso artistico e che hanno fatto la storia del genere. Sono molteplici i riferimenti stilistici che si fanno apprezzare per qualità e freschezza: dal thrash più canonico identificato dalle classiche cavalcate ritmiche, alle intro metalliche, inconfondibile marchio di fabbrica dei grandi maestri di inizio anni ‘80, fino agli arrangiamenti tecnici che li hanno eletti a vincente purosangue della brillante scuderia californiana. La band non sperimenta alcuna novità, anzi, ripesca dal passato una marea di soluzioni compositive che nel tempo hanno caratterizzato le loro attitudini e i loro istinti, consolidandone il sound.
Le martellanti sezioni thrash-core sono una peculiarità di questo nuovo full length. Per la prima volta fanno capolino nel songwriting del combo di San Francisco, tutti quei riff che avevano identificato gli esordi del thrash statunitense, quello più istintivo e genuino che si sposava con successo al hardcore di strada. Ted Aguilar e Rob Cavestany alternano una potenza ritmica incontenibile a devastanti comparti hardcore, incastonando nella composizione soli melodici e fulminei che elevano i brani a punte di qualità dell’intero panorama contemporaneo. Le canzoni hanno meccanismi meno raffinati rispetto alle articolazioni geniali che muovevano il songwriting di “The Art of Dying” (senza voler scomodare importanti album del passato come “Frolic Through the Park” piuttosto che “ACT III”): i brani appaiono infatti diretti e poco elaborati, ma magneticamente coinvolgenti. Il disco si mostra al pubblico diretto, sfrontato, senza tanti ricami e quindi molto, molto genuino, in piena sintonia con lo spirito primigenio che mosse, a inizio 80’s, la maggior parte delle release discografiche del suolo statunitense. La produzione è un altro fiore all’occhiello di “Killing Season”. Il mixing, operato per mano di Nick Raskulinecz (Danzig, Velvet Revolver, Rush, Foo Fighters), amalgama volumi e timbri con perizia e sensibilità tali da conservare ed evidenziare lo schietto spirito da cui le canzoni sono nate: le stesse suonano infatti veraci, senza eccessi di potenza o di pulizia, appaiono in sostanza vere, e riflettono la qualità intrinseca del lavoro prodotto. Il sound thrash ha sempre avuto delle inconfondibili peculiarità e qui le ritroverete tutte.
“Killing Season” impersona l’album thrash moderno capace di testimoniare con fedeltà la memoria di ciò che la California produsse nell’età dell’oro, ma senza apparir patetico o anacronistico. Una cosa è certa: non sarà il susseguirsi delle stagioni e del tempo a fermare i Death Angel.
Nicola Furlan
Tracklist:
01 Lord of Hate
02 Sonic Beatdown
03 Dethroned
04 Carnival Justice
05 Buried Alive
06 Soulless
07 The Noose
08 When Worlds Collide
09 God vs God
10 Steal the Crown
11 Resurrection Machine
Line up:
Andy Galeon: batteria
Ted Aguilar: chitarra
Rob Cavestany: chitarra
Dennis Pepa: basso
Mark Osegueda: voce