Recensione: King

Di Gianluca Fontanesi - 4 Febbraio 2016 - 0:01
King
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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81

Siamo sicuri che la marionetta sia sempre il povero che non conta nulla? O possiamo concederci l’interessantissimo pensiero che anche un re possa a sua volta essere controllato? La copertina del nuovo album dei Fleshgod Apocalypse, ad opera del bravissimo Eliran Kantor, lascia soprattutto trasparire questo punto di vista, rendendo un inutile burattino anche il più insigne degli esseri umani. Il precedente disco della band nostrana, Labyrinth, non fu quel capolavoro che molti si aspettavano, anzi, fu un passo più lungo della gamba in cui si esagerò in tutto senza eccellere in niente. King rimescola le carte in tavola e finalmente ci consegna l’opus magnum dei Fleshgod Apocalypse in tutto il suo regale splendore!

Partiamo subito con lo scoraggiare i fan della fase brutale del gruppo: le partiture di Oracles non torneranno più, la band ha lavorato sodo sul suo particolarissimo death metal sinfonico riuscendo a portarlo al suo apice e a rendere vincente una scelta stilistica che in apparenza poteva risultare bislacca e “ruffiana”. Sono stati limati e trasformati in pregi tutti i difetti dei precedenti dischi e qui risulta davvero difficile trovare un difetto che sia uno alla musica proposta, ma andiamo con ordine.

Marche Royale apre il ballo di corte con un incedere marziale e già ci si figura il Riccardi salire sul palco con un manto di faraona (l’ermellino costa) ottenuto da un contadino del luogo; nemmeno il tempo di inchinarsi al re che In Aeternum inizia a picchiare come un’ossessa e fa fuori tutto ciò che incontra. Ci si aspetta una Hypocrisy parte seconda, invece l’incedere è marziale e in battere e, udite udite, finalmente la produzione è come si deve! Ci sono le chitarre, le orchestrazioni hanno la giusta opulenza senza risultare ingombranti, si sente anche il basso e le clean vocals suonano molto più curate. Tutti i brani del disco sono abbastanza elaborati ma molto più fruibili e scorrevoli rispetto al lavoro precedente in cui erano presenti evidenti mancanze strutturali; sono notevoli anche gli assoli e sempre perfettamente inquadrati, c’è anche il tempo per un breve stacchetto acustico e il concetto di regale eternità è presto servito.

Healing Throug War è sinistra e micidiale, inevitabile l’headbanging come inevitabili sono le lodi al signor Francesco Paoli, uno dei batteristi estremi migliori in circolazione, che qui fa un po’ ciò che gli pare e offre una prestazione brutale ma controllata e molto varia. Ogni corte che si rispetti dovrebbe avere un giullare e quella dei Fleshgod non è di certo da meno: The Fool, il primo estratto reso pubblico, è un brano bislacco e, sbilanciamoci, uno dei migliori mai composti dalla band. E’ come il nome che porta: folle, eclettico, imprevedibile, ridanciano, barocco al limite e persino solare. Una vera e propria libidine per i nostri padiglioni auricolari; da segnalare ancora una volta le clean vocals, perfettamente inquadrate e non stridenti e strozzate come in Agony. Cold As Perfection è il primo lentaccio e anche il primo video ufficiale tratto dall’album, col faraonico (cioè con faraona) Riccardi nei riusciti panni di un re che… Meglio non spoilerare, vi invitiamo a visionarlo e a farvi una vostra idea, ovviamente con la versione non censurata (ebbene si, la censura esiste ancora!). Il video dovrebbe essere diretto da Francesco Paoli assieme a Salvatore Perrone e il pezzo, secondo le parole dello stesso Francesco, tratta dell’invecchiamento e della consapevolezza di perdere l’integrità fisica e mentale col passare del tempo. Si pone il problema della perdita di tempo che l’essere umano compie nella ricerca di una perfezione che non avrà mai, offendendo le persone alle quali la natura di tempo ne ha offerto davvero poco, e non rendendosi conto che lo splendore delle nostre esistenze sta proprio nelle piccole imperfezioni che si cercano di eliminare. Discorso giustissimo e altamente condivisibile, contornato da un brano oscuro e cattivo e visivamente in grado di scuotere qualche coscienza.

Mitra preme sull’acceleratore rivelandosi uno dei brani più brutali e gratuiti dell’album, a questo punto ci sta tutto; è però con la seguente Paramour (Die Leidenschaft Bringt Leiden) che si torna a toccare vette altissime. Qui la soprano Veronica Bordacchini, ormai sesto membro del gruppo, viene lasciata sola con un pianoforte ed è in grado di provocare ben più di un brivido; la passione provoca sofferenza, ma in questo caso anche emozioni e con una lingua di difficile impatto melodico come il tedesco. And The Vulture Behold torna a picchiare e ha l’unico difetto di avere la linea vocale in clean molto simile a quella di In Aeternum; dettagli comunque, il brano funziona molto bene e non vi è nulla da eccepire. Gravity e A Milion Deaths a questo punto della tracklist non fanno più notizia, mantenendosi comunque sullo standard elevato che permea tutta la tracklist; i fuochi d’artificio si intravedono con la conclusiva Syphilis che, coi suoi sette minuti e ventidue secondi passa dall’horrofico iniziale a momenti più ariosi e melodici dando notevole respiro al finale dell’opera e un degnissimo finale. La titletrack viene posta insolitamente in ultimo posto e offre quattro minuti di solo pianoforte in cui Francesco ci accompagna verso la pressione del tasto play per fare ripartire il tutto.

Segnaliamo la versione deluxe dell’album, che contiene un secondo cd con una particolare versione solamente orchestrale dei brani, che mette ulteriormente in luce il notevole lavoro di Francesco sugli arrangiamenti.

 

Tirando le somme, King ci consegna una band in forma straripante, professionale, umile e capace di lavorare sui propri errori rendendoli punti di forza; quella che prima era una delle band di punta del territorio italico si impone ora come una di rilievo a livello mondiale nel genere assieme ovviamente ai Septic Flesh. Possono piacere come non piacere, ma l’Italia provinciale e bigotta, quella che fa credere qualunque band i nuovi Metallica pur non essendo mai uscita dal proprio garage, quella in cui arrivare è impossibile altrimenti si è pagato e quella in cui si invidia talmente tanto da annullare perfino se stessi dai Fleshgod Apocalypse ha solo da imparare. Tanto sudore, un approccio professionale, tanti sacrifici e tanta passione possono portare molto in alto; questi ragazzi ci sono arrivati e noi siamo fieri di averli. Grandissimo lavoro, anzi, grandissimo lavoro italiano. Applausi.

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