Recensione: King Of Pain
The Headless Ghost. King Of Pain. Ai più attenti non saranno sfuggiti, nel moniker della band e nel titolo del disco, chiari riferimenti ai Mercyful Fate. Certo, perché la band nasce nelle intenzioni come tributo ai demoni danesi ma, fortunatamente, la cosa non si è fermata lì e ha preso un’altra strada, evolvendo sino ad assumere contorni ben più elaborati. Sì, troviamo evidenti influenze della prima band di King Diamond ma quello che rende più interessante questo lavoro è che ne troviamo altrettante mutuate dalla carriera solista del Re che, come è ben noto, guidano l’ascoltatore in un dedalo musicale e concettuale più complesso rispetto a quanto proposto dai Fate.
Alberto Biffi, abituato a vergare parole quando si tratta di recensire musica, qui si avventura nella creazione di un emozionante concept album che – forte dell’insegnamento di mr. Bendix-Petersen – si avvale di una cornice orrorifica di stampo cinematografico old school che fa da sfondo a vicende psicologiche ed emotive di un omicida seriale. Introspezione ed orrore, tormento interiore e visioni inquietanti sono la linfa vitale (mortale) di King Of Pain.
La band dichiara un amore incondizionato, oltre che per King Diamond e Mercyful Fate, per band come Judas Priest e Control Denied. L’elaborato riffing risente in effetti di tali influenze, sempre in bilico tra suggestioni “classiche” e intenzione moderna in termini di sound. Valida la scelta del cantante Ste Vallino (dei Tesla Shamans) di non cercare di scimmiottare i caratteristici ed inimitabili vocalizzi di King Diamond, mantenendosi piuttosto su un registro più canonico, tipico di certo metal europeo. Addirittura, in ‘Inside the Walls’ (che nel testo cita ‘Behind These Walls’ di Diamond), si possono udire gradevolissime “intrusioni” di stampo teutonico memori anche dei vecchi bardi Blind Guardian (quando avevano davvero qualcosa da dire).
Da sottolineare, al basso, la presenza di Simone Pesenti Gritti dei Drakkar ma non solo: nella potente title-track ‘King Of Pain’ troviamo uno special guest di assoluto spessore, Tobias Cristiansson (Entombed AD, Necrophobic, Grave) che si cala perfettamente nella “parte” (vista la teatralità del progetto) e pare quasi essere un membro storico della band, integrato com’è, piuttosto che una semplice “comparsa”.
Tirando le somme, l’unico consiglio che mi sento di dare agli Headless Ghost riguarda il cantante. Non perchè debba lavorare sulla VOCE (tecnicamente ineccepibile), bensì sulle VOCI, in termini per così dire “teatrali”. Mi spiego: Alice Cooper racconta di come – dal terzo disco in poi – Bob Ezrin riuscì a tirargli fuori cinque o sei “voci” che tuttora usa (il sussurrato, quella melodica, quella rabbiosa, ecc. ecc…); senza arrivare a tanto (King Diamond non ne usa più di tre), secondo me si potrebbe lavorare per caratterizzare meglio l’uso della voce a seconda del contesto, dato l’evidente aspetto concettuale/teatrale sottostante al progetto. Trattandosi del disco di debutto – e che debutto – c’è tutto il tempo per poterci lavorare, se lo si riterrà opportuno. E nell’attesa di un nuovo lavoro lasceremo che il fantasma decapitato cavalchi, in cerca della sua prossima testa… Sarà forse la nostra?