Recensione: Kingdom Torn Asunder

Di Stefano Ricetti - 7 Ottobre 2024 - 7:44
Kingdom Torn Asunder
Band: Ironflame
Etichetta: High Roller Records
Genere: Heavy  Power 
Anno: 2024
Nazione:
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Attivi dal 2016 e poggiati sull’estro del polistrumentista Andrew D’Cagna, gli americani Ironflame giungono al loro quinto full length con questo Kingdom Torn Asunder, licenziato dalla High Roller Records. Il Cd si presenta in modalità slipcase con un bel cartonato esterno e si accompagna a un libretto di dodici pagine con tutti i testi e una foto in posa in bianco e nero della band sull’ultima facciata.

La formazione, oltre al mastermind D’Cagna, ricomprende Quinn Lukas e Jesse Scott alle chitarre mentre, incredibilmente, non vi è alcuna menzione degli altri due musicisti pur presenti in foto, gli “addetti” alla sezione ritmica, ossia James Babcock al basso e Noah Skiba alla batteria. Situazioni del genere potevano anche accadere negli anni Ottanta, inconcepibile viceversa incapparci nel 2024.

La formula straconsolidata del complesso dell’Ohio nelle precedenti uscite si conferma ampiamente anche in quest’ultimo Kingdom Torn Asunder che sin dalla copertina per poi passare ai vari titoli delle canzoni – “Blood and Honor”, “Majesty of Steel”, “Sword of a Thousand Truths” – non lascia spazio a dubbi. Il loro è un heavy metal tradizionale con tracimazioni in ambito power infarcito da scaltri addentelli epici.

I vari ingredienti componenti il songwriting vengono miscelati bene, sin troppo bene – ci tornerò dopo… – tanto da restituire cinquanta minuti scarsi di ascolto declinati lungo dieci pezzi – in questa versione Cd, oggetto della recensione, gli ultimi due sono a mo’ di bonus – che di primo acchito conquistano.

Il tiro generale è ruffiano – in senso buono, s’intende… – corroborato da ritornelli azzeccati e cavalcate poderose in grado di trasmettere potenza. Il gusto melodico di sottofondo che permea l’intero lavoro s’insinua pian piano lungo la fruizione in maniera inesorabile.

Già, ma quando le “passate” diventano più di un paio, come si è giustamente usi fare nel momento in cui un disco pare meritarlo?

Cosa resta?

Poco… O quantomeno la sensazione di euforia iniziale diviene sensibilmente smorzata, la fase di assimilazione presenta il conto.

La linearità del songwriting si trasforma in appiattimento, la fruibilità in prevedibilità e alla lunga emerge palesemente il difetto principale di Kingdom Torn Asunder: è fatalmente privo della carica animale che da sempre deve svettare in qualsiasi disco heavy metal degno di tale nome.

Precisato quanto sopra, non per questo motivo non può incontrare i gusti degli aficionados meno sanguigni e intransigenti, del resto la miscela dispensata dagli Ironflame sgorga da chiarissime influenze derivate da  campioni quali Hammerfall, Iron Maiden, Tierra Santa, Riot e le varie “Majesty of Steel”, “Sword of a Thousand Truths” e la ballata “Exile of the Sun” sanno comunque dispensare buone emozioni, va riconosciuto.

 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti     

 

 

 

 

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