Recensione: Kings of Mercia
Kings Of Mercia è la controffensiva del chitarrista Jim Matheos (Fates Warning) alla superband A-Z (Alder/Zonder) di cui avevamo parlato qualche recensione fa.
Per preparare la sua armata, recluta nella sua schiera il fedele compagno d’armi Joey Vera al basso, Simon Philips alla batteria (reduce da campagne nei Toto, Michael Schenker Group, Asia…) e consacra Steve Overland (FM) incoronandolo frontman.
Il nome rispecchia le intenzioni. Per spiegarvi perché, però, dobbiamo fare un piccolo preambolo.
Tra il V secolo al X secolo d.C, quella che attualmente conosciamo come “Inghilterra” subiva una serie di trasformazioni che la portavano ad essere unificata sotto un unico regno.
Il territorio anglosassone risultava, a seguito dell’ abbandono delle popolazioni romaniche e al progressivo insediamento di tribù germaniche (qui chiamate a difendere il territorio del Vallo d’Adriano), una sorta di guazzabuglio fatto di popolazioni celtiche, angli, juti e sassoni.
L’assetto politico naturalmente era in continua evoluzione e l’isola era suddivisa in sette regni gli uni determinati a conquistare la supremazia sugli altri. La “Mercia” non è nient’altro che un territorio – situato nelle Midlands inglesi che comprende quella che oggi si può individuare come la fascia centrale dell’ Inghilterra, che va grossomodo dal Lincolnshire ad est, sino allo Shropshire / Herefordshire ad ovest – originariamente facente parte dell’eptarchia e che durante questo periodo storico vide l’insediamento di diversi re, originariamente discendenti degli angli tedeschi.
Il termine deriva dall’ inglese antico “Mierce” o “persona di confine”.
Il gruppo sostiene di essere uscito casualmente con il nome, ma qualche scettico potrebbe notare qualche dietrologia (o qualche vaga somiglianza con la copertina e la trama del romanzo di Bernard Cornwell: “Un trono in fiamme: le storie dei re sassoni”).
I nostri autoproclamatisi Re schierano sul terreno di battaglia un metal con radici marcatamente heavy e hardrock, alla quale si unisce la voce fortemente radiofonica di Overland. Qualche idea abbozzata sulla chitarra da Matheos, cui poi si sono unite la ritmica solida di Philips e le linee di basso rifinite di Vera, per un album finito “pulito”, in cui salta subito all’ orecchio la complessità e varietà armonica, frutto di un lavoro congiunto e di una – sicuramente – discussione equilibrata e simbiotica tra le parti. Alla fine cura dei particolari si aggiunge una forte componente chitarristica, evidenziata subito in “Wrecking Ball”, con riff culminanti e una ricca vena classic rock data dalla melodica voce di Overland.
Una ritmica sempre molto equilibrata e funzionale, mai più o meno del dovuto e una lirica diversa per ogni canzone, che rende interessante e diversificato l’album.
Non manca qualche power ballad romantica: “Everyday Angels” e “Too Far Gone” che aggiunge dolcezza senza far venire il diabete mellito. E una canzone a conclusione: “Your life” che apporta un tocco di drammaticità e pathos con sonorità immersive e cupe, fornendo un valido interludio alle tracce più cariche e decise: “Sweet Revenge” / “Liberate Me” / “Nowhere Man” / “Is It Right?“.
In Kings of Mercia, Jim Matheos arriva dove non sono arrivati gli A-Z: rendersi interessante riproponendo una variante 80s con alcuni riff ricchi di inventiva in “Humankind”, senza sembrare meccanico e ripetitivo, ma aggiungendo calore – in effetti anche la corona del re senza-testa in copertina, sembra prendere fuoco – ad un lavoro che altrimenti risulterebbe chirurgico. “Set the world on fire”, ti rimane in mente per giorni: ritmica accattivante, chitarra selvaggia e soprattutto il ritornello: “you got what it takes / set the world on fire … “.
Se questa è una guerra, stavolta lo scontro viene vinto dai Kings Of Mercia… ma rimaniamo in attesa dei prossimi sviluppi…
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