Recensione: Kings Of Nowhere
Dai meandri del più oscuro AOR e hard melodico britannico di fine anni Ottanta (periodo in cui chi si cimentava in questi generi musicali, allora assolutamente in auge, non poteva sapere che, di lì a poco, il grunge avrebbe sepolto sotto camicie di flanella e torridi riff di chitarre melmose e ribassate tutto il gaudente, romantico e glassato rock di poco prima), arrivano all’esordio discografico, con oltre un quarto di secolo di ritardo rispetto alla loro fondazione, i britannici Angel Or Kings.
Nati giustappunto nel 1988 in quel di Manchester, gli AOK hanno lavorato molto duramente sui palchi in qualità di gruppo di supporto di gente del calibro di Danger Danger e Dare. E se la loro vita di musicisti dell’epoca è stata raccontata nel libro del chitarrista Tony Bell “Life In A Bus Lane”, la band, pur avendo inciso le proprie canzoni in svariati nastri e demo, non è riuscita, purtroppo, a dar loro la luce in forma di CD.
Ed ecco che, nell’anno domini 2014, finalmente l’opera prima della band inglese, “Kings Of Nowhere”, arriva sul mercato grazie alla label AOR Heaven.
Fin dalle prime note di Any Other Girl ci si rende conto di quale autentica gemma nascosta fossero, fino a ieri, Tony Bell e soci: siamo qui alle prese, infatti, con un purissimo AOR delineato da tastiere cristalline e melodia alla Journey. Sulla stessa lunghezza d’onda, subito dopo, si colloca A Harder Place, altro incontaminato esempio di rock “adulto”, qui più veloce, trafitto da chitarre inanellanti grintosi riff e memore di Journey, FM ed Heartland. Le stesse emozioni – tipiche dell’ascolto del puro rock melodico ma privo di svenevolezza – ci donano, più in là, Another Lost Boy e Same Old Love, tracce raffinate e coinvolgenti, ancora una volta ingemmate dagli interventi della sei corde.
Le medesime considerazioni, ancora, valgono per Someone To Save Me, veloce e patinato AOR dal ritornello impreziosito da sublimi armonie, e per Kings Of Nowhere, invero più massiccia sebbene sempre intinta in un mood assai accattivante.
Atmosfere tipicamente british sono offerte, altresì, da Ice Turned To Rain, midtempo elegante e drammatico e dalle melodie piacevolmente dispiegate, un po’ sulle orme di certi Dare, e ancora da If Her Tears Would Talk, uptempo con spunti di tastiere ed innesti d’ascia che portano alla mente i migliori Asia.
A Night Like This, invece, è uno slow guidato dal pianoforte e caratterizzata da massicce profusioni di melodia, mentre Real Life è una semi-ballad solenne ed intarsiata mirabilmente dagli interventi chitarristici e dagli sfondi dipinti dai tasti d’avorio.
Kings of Nowhere degli Angels or Kings, dunque, è una gran bella sorpresa per chi ama questo rock morbido e maturo. Il canto di Baz Jackson è caldo e sornione, ma pure ruggente quando serve, e risultano pressoché impeccabili l’equilibrio tra gli strumenti ed i dialoghi tra tastiere e chitarre. Il songwriting è, inoltre, elegante e coinvolgente, e, se proprio una critica può essere mossa al full-length, forse è l’assenza di un vero e proprio hit single.
Questo non inficia il giudizio assolutamente positivo per questo rimarchevole album, e ci auguriamo vivamente, anzi, che gli AOK non aspettino un altro quarto di secolo per farci ascoltare ancora nuova musica marchiata con il loro monicker.