Recensione: Kings of the Universe

Di Abbadon - 6 Febbraio 2004 - 0:00
Kings of the Universe
Band: Skullview
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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73

Formatisi negli Stati Uniti nel 1995 per merito di Joe Garavaglia e Dean Tavernier, gli Skullview sono una band che probabilmente non farà la storia del metallo, ma che neppure è spiacevole da sentire, anzi. La ricetta è molto semplice e si basa su un metal di genere a loro detta indefinito, ma che se proprio vogliamo usare le scontatissime etichette si assimila ad un heavy power ispirato ai vari Iron Maiden e soci, dotato di vasti spruzzi di epicità, resti della passione del combo per pilastri dell‘epic come Omen e Manilla Road. Il risultato dell‘impasto fatto da questi ragazzi a stelle e striscie è un muro sonoro non certo raffinatissimo, tantomeno originale, ma di una potenza sonora a tratti impressionante, da stordire le orecchie. E se tutto questo si poteva già chiaramente sentire nell‘esordio (1997) titolato “Legends of Valor” (che diede subito una buona reputazione al quintetto), la percezione viene confermata e ulteriormente ampliata col secondo cd, intitolato “Kings of the Universe”. Il cd, uscito nel 1999, affronta diversi temi, che passano in rassegna varie storie fantastiche (ma scordatevi folletti e cose del genere, qui si parla di guerrieri e divinità senza fronzoli), che culminano in quello che ai defenders più sfrenati piace chiamare Truemetal (bello sano pure). Ovviamente dei guerrieri non possono essere accompagnati da musichette scialbe, e da qui il ritorno al famoso muro sonoro prima citato. Il primo mattone di questo muro lo mette di sicuro il bassista Peter Clemens, coi suoi giri bassissimi e ruvidi che sanno però anche diventare di classe, in certi punti, specie quando accompagnano le chitarre senza niente altro intorno. A proposito di chitarre, spaccano pure queste, grazie allo smodato uso che ne fanno il già citato Tavernier e Dave Hillegonds. Soprattutto la ritmica è roboante e caratterizzante delle varie song, la sua gemella non scherza affatto, regalando buoni momenti, ma in genere è nettamente sotto. Restano da definire batteria e voce. La prima è buona, e senza strafare tiene bene in pugno la sezione ritmica (il ritmo asfissiante è sicuramente il punto di forza degli Skullview, non certo dei mostri di tecnica), la seconda si fa sentire col suo timbro molto squillante e urlato (a volte Quimby Lewis stride un po’ col resto degli strumenti, ma capita a tanti altri musicisti ben più acclamati). 8 sono le canzoni che formano questa roccia di puro metallo, tutte piuttosto accostabili eppure differenti e pure ben selezionabili fra di loro. Si parte subito col pathos dell‘intro alla titletrack, una vorace schitarrata che lascia una sensazione di attesa, un sipario che si alza verso una sassata di song, dal riff granitico che provoca puro headbanging. Non vi sono attimi di particolare spicco (anzi forse la parte centrale è oggettivamente un bel cambio di tempo, da respiro ma prende tremendamente in contemporanea). Paradossalmente ancora più diretta è “Hand of Zeus”, con quella sua partenza immediata che ad un primo momento lascia un po’ di stucco. Nel complesso inferiore alla titletrack, Hand of Zeus mantiene comunque un buon ritmo e mette in evidenza un precoce (nel tempo) assolo di Lead guitar che nella sua semplicità riesce a trascinare bene l‘ascoltatore. Non c‘è molto altro da dire, quindi arriviamo alla eccellente “In League with the Dragon”, track molto lunga caratterizzata dall‘inizio molto flemmatico e melodico. Questa melodia cresce di tono col passare del tempo per esplodere nel riff forse meno “casinaro” ma più old style ed ordinato di tutti, diciamo il più Heavy in senso classico. Questo è un bene perché non si spezza affatto la tensione complessiva del disco ma si riesce comunque a dare varietà a un prodotto che avrebbe magari già stufato i meno “aficionados” del genere. Discreti i cambi di tempo e belli i fraseggi fra le due chitarre per una delle migliori song del disco, forse la migliore in assoluto. Un ideale mix tra gli ultimi due brani descritti è “Cobwebs and Shadow images”, che unisce la partenza esplosiva allo stile e alla ritmica di “In League…” (anche se siamo a livelli più bassi e volendo prevedibili). L‘assolo è discreto e nulla più, e dimostra il netto predominio, in queste situazione di violenza sonora, della chitarra ritmica sulla solista. Un sinistro alito di vento introduce al dolce arpeggio (davvero ben riuscito) del mid tempo “Morning Light”, che mostra il lato più poetico degli Skullview. Questa sensazione di sacralità ma allo stesso tempo decisione scema con l‘iniezione degli altri strumenti musicali, che prima incrementano ma poi sfondano i canoni della poesia con un riff decisamente duro, sempre in mid tempo. Peccato perché ci sarebbe stato bene un intermezzo strumentale che desse fascino al disco pur senza abbassare le atmosfere (anche se la voce non è che si adatti benissimo a questo stile musicale), ma non bisogna comunque lamentarsi perché la sufficienza è comunque raggiunta. Niente illusioni per “War Within the Sky”, qui si picchia e basta. Il riff non è che mi piaccia un granchè, stona col cantanto ed è abbastanza piatto. Qualcuno considera questa song una delle migliori, io obiettivamente penso sia una delle peggiori (se non la peggiore), quindi lascio ai lettori l‘ardua sentenza. Decisamente più intrigante l‘attacco (arpeggio su scale molto basse e cupe) della bella “Blast Furnace”, mid tempo non vario ma di gran sostanza. Bene stavolta quello che era il punto debole di “War…”, ovvero l‘intreccio voce/musica, e bene anche la parte centrale, dinamica e dalla inusuale carica, meno bene il ritornello, banale, amen. Si chiude questa battaglia con la velocissima e assassina seconda parte di “Power of the Gleam Skull”, il cui primo atto si trovava sul disco di esordio. Ancora Heavy metal granitico, un po’ ripetitivo forse, che mette in evidenza soprattutto una gran batteria, non tecnica ma che col semplice picchiare sui piatti domina tutto un pezzo basato sulla velocità, davvero non male. Beh, a bocce ferme che dire… “Kings of the Universe” è la dimostrazione che l‘epic, anche negli anni 90, è ancora vivo e rigoglioso (magari non esposto ai grandi circuiti ma presente). Certo non siamo davanti ad una finezza di disco (e del resto non vuole neppure esserlo) ma ripeto, non è un lavoro da lasciar sfuggire, quantomeno per appassionati del filone, se non dopo (forse) un po’ di ascolti, perché siamo su livelli più che discreti. Per la gioia di chi andrebbe per le strade con lo spadone a due mani o col martello da guerra spaccando tutto (e ammetto che, ogni tanto, sono di quelli).

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :

  1. Kings of the Universe
  2. Hand of Zeus
  3. In League With The Dragon
  4. Cobwebs and Shadowed Images
  5. Mourning Light
  6. War Within The Sky
  7. Blast Furnace
  8. Power of the Gleam Skull (part 2)

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