Recensione: Kings & Queens
Semmai ce ne fosse stato bisogno, la Finlandia dimostra ancora una volta la sua spiccata quanto naturale predisposizione per il metal, in particolare quello estremo. In questo specifico caso grazie agli Iamsin, che, con il loro debut-album “Kings & Queens”, si pongono immediatamente sui più alti livelli tecnico-artistici del metalcore. O meglio, di una mistura metalcore, sì, comprendente però un pizzico di post-hardcore e di modern metal – o melodeath.
A parte le disquisizioni sul genere proposto, su una cosa c’è certezza: il combo di Jakobstad pesta duro come un fabbro sull’incudine; proponendo, sin da subito – da ‘Kings & Queens’, cioè – il classico binomio harsh/clean vocals. Particolarmente riuscito e indicativo, soprattutto, di una notevole decisione nei propri mezzi vocali, in particolar modo per quanto riguarda il cantato pulito, deciso e senza tentennamenti di sorta. Da professionista navigato nonché dotato di talento cristallino, insomma. E siccome il timbro tradisce un’ugola giovane, non rimane che segnare sul taccuino il nome Petter Löf, frontman di assoluto valore internazionale che non potrà che crescere in altezza… canora.
Proseguendo con il loro potente incedere, i cinque nordeuropei riescono sempre e comunque a calibrare con precisione l’alternanza di segmenti duri e aggressivi ad aperture melodiche – nei ritornelli – di lungo respiro, orecchiabili e piacevoli ma non stucchevoli (‘Colours’). I Nostri, difatti, pur essendo piuttosto catchy in alcune occasioni, non sono proprio un gruppo da classifica, giacché lo scheletro delle song è sempre robusto e massiccio (‘What Dwells Within’). Sicuramente troppo, per il mainstream. Ottimo, al contrario, per chi ama le classiche sonorità metalcore senza compromessi.
Metalcore che costruisce la propria impalcatura portante con il possente riffing delle chitarre, legato stretto dai giri di basso. Nondimeno sprofondando nei toni più bassi quando i vigorosi stop’n’go tipici delle metrature *-core sconquassano le budella (‘Notorious’, ‘Numb’). Interessante l’idea di inserire, in sottofondo, le tastiere, allo scopo di non tanto di irrobustire il sound – non ce n’è bisogno – , quanto di ammantarlo di un leggero mood melanconico; intasando comunque gli spazi vuoti fra un accordo e l’altro, facendo sì che l’insieme risulti pieno, anzi in pressione (‘Don’t Wake Me Up’).
Oltre a queste peculiarità, c’è la buona continuità del songwriting, che regala dodici brani più o meno sullo stesso livello qualitativo. La formula è sempre la stessa, e non poteva essere altrimenti per come è impostato il platter, ma la sostanza è sempre diversa e, in particolar modo, di amalgama costante. Una sicurezza d’intenti e di mezzi che certamente non è facile da trovarsi in un’Opera Prima qual è “Kings & Queens”. Le canzoni, inoltre, scorrono con fluidità, senza intoppi, prive di cali di tensioni, scevre da riempitivi (‘My Pride’, ‘One By One’, ‘Ravenblood’).
In conclusione non rimane che rimarcare la maturità e saggezza di una formazione giovane composta da giovani: il futuro non può che essere loro, degli Iamsin!
Daniele “dani66” D’Adamo