Recensione: Kiss Of Life
Il nuovo che avanza e strizza l’occhio al passato, per aver successo nel presente e schiudere le porte del futuro.
Un gioco di parole al limite del paradosso, utile però nel riassumere in poche battute lo spirito e le intenzioni della nuovissima dimensione musicale di Nick Workman, talentuoso singer britannico perso letteralmente di vista dopo un abbozzo di successo ottenuto a cavallo tra vecchio e nuovo millennio con gli interessanti Kick, gruppo che i meglio informati ricorderanno (oltre che per la sponsorizzazione del celebre Steve Harris), fautore di un buon hard rock “leggero” e tendente al mainstream, dalla foggia piuttosto gradevole, seppur mai dal respiro artistico di qualità superiore.
Rilanciato in orbita con un moniker che proprio alle stelle pare riferirsi – Vega come l’astro situato nella costellazione della Lira – e dalla collaborazione con due songwriter e musicisti d’eccellente destrezza quali Tom e James Martin (responsabili, tra gli altri, di un gran numero di brani per Danger Danger, House Of Lords, Khymera e Sunstorm), Workman non fa mistero di quelle che devono e vogliono essere le anime stilistiche della novella creatura, spiattellando senza remore i nomi di Bon Jovi, Def Leppard e Journey. Ispirazioni che – aggiungiamo noi – insieme ad una malcelata venatura pop, un pizzichino di tastiere alla Europe, ed alla gigantesca voglia di melodia da air play, cara a Survivor e Treat, un po’ fanno tornare alla memoria un altro, recente, tentativo di “conquista” analogo, partito da terre finlandesi ed andato parecchio a buon fine (chi ha detto Brother Firetribe?!?).
Il profilo del resto, pare essere il medesimo, seppur con palesi differenze. Composizioni grondanti melodie aperte e d’immediata presa, cori potenti, suoni corposi e rotondi, e quell’immancabile, unica, fondamentale, necessaria, eccitante vitalità che, meglio d’ogni altro elemento, contribuisce ad identificare un progetto d’evidente derivazione ottantiana.
A qualcuno, senza dubbio, la miscela produrrà soddisfazioni ed entusiasmi assortiti. Ad altri, la proposta potrà invece apparire in parte innaturale, forzata nei suoni e priva di spirito genuino.
Difficile ad ogni modo, rimanere indifferenti al cospetto di una tracklist che, almeno in una buona metà degli episodi offerti, mette in risalto valori oggettivamente pregevoli, centrando armonie scintillanti, corroborate da una notevole ruffianeria e da un sound modernizzato e robusto che pare impostato proprio per sfondare padiglioni auricolari e casse dello stereo, in pieno effetto “big eighties”.
Inutile in fondo, star a disquisire su questioni che potranno apparire astratte e poco tangibili. Nel concreto è, infatti, sufficiente dar conto di qualche canzone che potrà illuminare in modo pratico e definitivo ogni pregio e difetto di quanto elaborato da Workman ed i suoi Vega.
Studiata ad arte (anche in questo s’intravede un minimo di “premeditazione”), la partenza del disco detona due tracce che incanalano l’album sui binari dell’emotività, preda di sensazioni aggressivamente facili che assaltano come un torrente in piena. La bellissima “Into The Wild” ed il super singolo “Kiss Of Life”, diffondono un flavour frizzante e carico di energia, ingigantito da cori importanti e linee melodiche urgenti, cui risulta difficile non dare piena approvazione. Furbescamente sparato a mille all’ora nelle battute iniziali, il tono perde poi in intensità nei brani successivi, attestati su di un valore sopra la media ma non altrettanto riuscito come ascoltato nei primi minuti.
Con soddisfazione ad ogni modo, conforta costatare come anche nei momenti di minor impatto, la band riesca a destreggiarsi con grandissima sicurezza, mantenendo viva l’attenzione dell’ascoltatore con soluzioni in grado di offrire un impasto musicale di squisito livello e qualche attimo sempre molto godibile.
Con le orecchiabili “Headlights” e “Hearts of Glass”, il ritmo torna tuttavia a volare ad alta quota, riprendendo il filo del discorso con le eccellenze dei primi due brani, tramite ritornelli briosi e sfavillanti armonie ricche di feeling.
Sempre in primo piano la splendida voce di Workman, singer espressivo e piuttosto versatile che pare esaltarsi molto in contesti ultramelodici come quelli elaborati su “Kiss Of Life”. Da citare inoltre, anche il bel lavoro svolto da Tom Martin alla chitarra: non un virtuoso dalla tecnica “furente”, ma un chitarrista di buon gusto e gran sostanza.
L’album, dopo un’ulteriore serie d’episodi piacevoli – forse non proprio mirabolanti, ma sempre molto graziosi – giunge alla conclusione con un’altra coppia di pezzi riusciti, confermando un taglio omogeneo nella distribuzione dei momenti migliori. “What It Takes” e “SOS”, mandano i titoli di coda su di un debutto che, per quanto ascoltato, non può che suscitare un soddisfatto compiacimento ed applausi di convinta approvazione.
Magari non ancora un capolavoro assoluto ma, ad ogni buon conto, un disco davvero molto ben confezionato e dai suoni brillanti (merito di John Greatwood e dell’onnipresente Dennis Ward), in scia ad uno spirito revivalistico degli anni ottanta che pare coinvolgere schiere sempre più ampie di musicisti ed ascoltatori.
Un nuovo progetto AOR di qualità simile, dalle lande britanniche non lo si riceveva da un pezzo.
Probabilmente un caso, ma per gli ottimisti, il segno che forse le cose stanno davvero cambiando.
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Tracklist:
01. Into The Wild 5:17
02. Kiss Of Life 4:20
03. One Of A Kind 3:21
04. Staring At The Sun 4:11
05. Too Young For Wings 4:16
06. Another 4:19
07. Headlights 3:54
08. Hearts Of Glass 5:04
09. Stay With Me 3:51
10. Wonderland 4:29
11. What It Takes 4:38
12. Sos 4:38
Line Up:
Nick Workman – Voce
Tom Martin – Chitarre / Basso
James Martin – Tastiere
Dan Chantrey – Batteria