Recensione: Kiss Or Kill
Un incipit a dir poco accattivante: rullata di batteria e riff velocissimo son da sempre un’ottima ricetta per catturare all’istante l’orecchio del giovane metallaro. Scala ascendente e passaggi melodici con chitarre armonizzate, Thin Lizzy e Iron Maiden style e infine un cantato che mastica parole come il miglior Steven Tyler…verrebbe da dire: “questi fanno sul serio!”.
“I Wanna Be Your Man” non a caso è stato il singolo di lancio per gli Endeverafter e contiene tutti gli stilemi di quell’hard rock potente con cui questi ragazzi vorrebbero aver a che fare. Impresa abbastanza ambiziosa per chi proviene dalla patria dell’Hard Rock sfacciato di metà anni ’80.
I nostri sono, infatti, di Sacramento, California. Dalla città natale di band del calibro dei Tesla (giusto per citare un nome “da poco”) e da uno stato simbolo del trittico “sex, drugs and rock n’ roll”.
Ci vengono presentati come i nuovi apostoli del Rock più duro, portatori di un sound settantiano ma condito dall’irriverenza e dalla potenza tipica degli eighties, con influenze che spaziano dai Motley Crue ai Thin Lizzy.
Sono paroloni coi quali poi è raramente difficile non fare i conti, sia per chi suona sia per chi ascolta e si ritrova, inevitabilmente, a dare un giudizio.
Dopo l’entusiasmante inizio troviamo “Baby, Baby, Baby” che è un’apparente conferma delle ottime premesse date dalla descrizione della band e da “I Wanna Be Your Man”. Se in quest’ultimo si respirava odore di Iron Maiden, qui si trasuda Hair Metal da tutti i pori, un Hair decisamente modernizzato sia nei suoni che nell’aria generale, ma che non perde la sua immancabile capacità di coinvolgere aiutata da un ritornello semplice ma di grande impatto. Questo secondo singolo ha ottenuto un notevole successo, tanto da esser usato come “soundtrack” in un episodio di una delle più seguite sit-com moderne.
E questo è tutto. Siete liberi di non arrivare alla fine di questa pagina, perchè, a dirla tutta, non ci sarebbe molto altro da aggiungere.
Lo schema dei brani proposti rispecchia quasi al 100% tutto ciò che è descritto nel primo paragrafo di questa recensione. Nulla di nuovo e nulla d’originale: il platter si distribuisce su buoni riff che tuttavia talora appaiono un po’ stucchevoli ed eccessivamente riciclati, nonostante siano massicci e da puro headbanging.
Il problema principale di questi ragazzi è il non riuscire a staccarsi dallo stile dei propri idoli.
Ne sono cosi profondamente ispirati al punto che un attento ascoltatore potrebbe, canzone per canzone, stilare l’elenco degli altisonanti nomi con cui gli Endeverafter stanno giocando. Whitesnake, Europe e Thin Lizzy sono sicuramente sul podio per le canzoni più rock-oriented, Iron Maiden e Motley Crue per le sonorità più Heavy.
Questo non è un male o un difetto, intendiamoci, ma le influenze non dovrebbero diventare una copiatura pedissequa, a maggior ragione se proposte dalla stessa band come termine di paragone.
Inevitabile non tenerne conto, non vederne il palese citazionismo, e infine decidere che gli originali sono pur sempre i migliori. Inevitabile insomma, concludere che un gruppo clone che si limita a buttare in un frullatore diversi stili senza mettere del proprio non è ciò di cui si ha bisogno al giorno d’oggi.
E tutto sommato Michael Grant (voce, chitarra solista), Kristan Mallory (chitarra ritmica), Tommi Andrews (basso) e Eric Humbert (batteria) avrebbero delle ottime carte da giocare, sia dal punto di vista tecnico-strumentale sia dal punto di vista prettamente “melodico”.
I riff principali di “Gotta Get Out” e “All Night”, nonostante siano spiccatamente derivati da Ac/Dc e Whitesnake, sono dei fulmini a ciel sereno, e se liberati dal “fantasma dei gruppi passati” avrebbero potuto esser addirittura degni di esser imparati dai giovani strimpellatori che ogni giorno si avvicinano al nostro genere preferito.
Allo stesso modo possono essere intese le cavalcate heavy di “Poison”, “Road To Destrucion” e “From The Ashes of Sin”, mazzate che si perdono in soluzioni trite e ritrite, spesso sprovviste di quel tocco in più che, nonostante la banalità, le possa far sentire ben accette dalle orecchie ormai sature del metallaro moderno.
Da dimenticare completamente le due ballad presenti nel platter (“Next Best Thing” e “Long Way Home”) che definire stucchevoli e soporifere è quasi riduttivo.
Un disco ben suonato, concepito con l’intento di ridar vita a dei suoni che da troppo tempo ormai son relegati ai confini del mercato musicale, ma il cui risultato è forse un po’ al di sotto delle (alte) aspettative con cui i quattro di Sacramento si son presentati all’epoca della sua pubblicazione.
Un disco che sarà piaciuto sicuramente a chi è nuovo “del genere” e che sta pian piano facendo le prime bracciate nell’immenso oceano della musica dura, ottimo salvagente per poi approdare ai porti sicuri delle grandi band nominate sin qui.
Tutti gli altri, qualora non avessero avuto ancora alcun approccio con “Kiss Or Kill”, possono tranquillamente passare oltre.
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Tracklist:
01. I Wanna Be Your Man – 3:26
02. Baby Baby Baby – 4:14
03. Gotta Get Out – 4:04
04. Poison – 4:14
05. Next Best Thing – 5:18
06. Tip of My Tongue – 4:06
07. Road to Destruction – 5:41
08. All Night – 3:35
09. Slave – 3:44
10. From the Ashes of Sin – 4:09
11. Long Way Home – 6:14
Line-Up
Michael Grant – Voce, chitarra solista
Kristan Mallory – Chitarra ritmica
Tommi Andrews – Basso
Eric Humbert – Batteria