Recensione: Knochenkult
Poche note ci introducono al lavoro degli Eisregen; poche note bastano ed avanzano per capire quale sarà la direzione del disco, crogiolo di sperimentazione putrida e morbosa, oscura ed affascinante foresta musicale consumata dall’umido scorrere del tempo.
Scarne e sparute note, un motivetto leggero come una pioggia primaverile, cadenzato ed impossibile da dimenticare, passi leggeri nell’umido sottobosco dell’oscurità verso qualcosa di misterioso, di affascinante.
Scorre il tempo, scandito da un palpitante tappeto armonico, dal battito ritmico di un cuore marcio ma pulsante di vita.
Note timide, vibrazioni allegre e sfuggenti.
Un delicato arpeggio emerge dal buio. Esile ponte verso il crepuscolo, leggero quanto i passi musicali che lo percorrono, sorretto da un sottofondo ritmico crescente, pronto ad esplodere, al momento giusto, senza inutili sorprese.
Ed ecco la deflagrazione, non violenta come previsto, ma ritmicamente marziale, dove la putrida e gorgogliante voce di Michael “Blutkehle” Roth si fa largo fra lame chitarristiche sporche di sangue e melma, emerse dalle ribollenti profondità di un tetro mondo sotterraneo, abitato da creature oscure e diffidenti.
L’atmosfera crepuscolare persiste, fra contorti rovi metallici, dilatate riflessioni funebri e brutali sterzate stilistiche, formando qualcosa di entusiasmante, che richiede un secondo ascolto, poi un terzo…
La canzone è “Stahlschwarzschwanger” (Incinta Di Acciaio Nero).
Attraverso lyrics funeree e decadenti viene qui plasmata l’evoluzione spirituale di un’essere della notte, alla vana ricerca della salvezza, della luce purificatrice del sole. Purtroppo però la redenzione è resa impossibile dalla natura stessa della creatura, ormai completamente immersa nell’abisso, macchiata in modo indelebile dal peccato. L’oscurità allora prende il sopravvento, accogliendola fra le sue spire come una madre premurosa, mostrandole come godere dei piaceri della notte e permettendole di accettare orgogliosamente la propria condizione.
La visione del bene è contrapposta a quella canonica, dove la luce è rapportata alla felicità. Nella terra della pioggia di ghiaccio (in tedesco Eisregen), è la fredda notte a salvare l’anima afflitta del ferale protagonista, conferendogli un soffio di nuova vita.
Basterebbe il primo pezzo, tra l’altro ascoltabile liberamente sul myspace della band, a garantire la buona qualità di Knochenkult. Tuttavia, pur non volendo privarvi del gusto della scoperta, mi sento di lasciare quelche indicazione sul sentiero che attraversa questo funereo universo sonoro, coinvolgente esempio di Dark/Black Metal teutonico, marcio, glaciale ed emozionante al tempo stesso.
“Knochenkult”, il culto delle ossa.
Contrassegnato da un titolo dal sapore darkthroniano, il disco in questione rappresenta la settima fatica in studio dei tedeschi Eisregen, progetto attivo sin dal 1995.
A detta dei componenti stessi, il gruppo si sarebbe dovuto sciogliere allo scoccare del sesto full lenght (dal nome Menschenmaterial, in realtà mai pubblicato), ma nel 2006 la decisone di prolungare il contratto con la Massacre Records, permette alla band di sfornare altri due album: “Blutbahnen” nel 2007 e “Knochenkult” nel 2008.
Quest’ultimo si distingue, rispetto alla maggioranza delle produzioni attuali, per la capacità di coivolgere l’ascoltatore grazie ad un Black/Death Metal a volte atavico, altre irriverente, interpolato a melodiche digressioni Gothic sorrette costantemente da un cantato pulito riconducibile all’ondata Dark Wave.
Già dalla seconda traccia, “Treibjagd” (Battuta Di Caccia, ovviamente agli umani!) l’attacco frontale si fa più violento. Uno screaming straziante sibila nell’oscurità, accompagnato da demoniache e sofferenti sferzate chitarristiche, fino a sfociare in un chorus oscuro, dove una voce profonda decanta la gioia della caccia alla preda-uomo.
La frequente simbiosi tra musica e sensazioni rende l’operato degli Eisregen longevo e coinvolgente. Questo aspetto emerge in modo particolare nella traccia “19 Nägel für Sophie” (19 Chiodi Per Sophie), dove attraverso emozionanti (seppur discretamente banali) drappeggi pianistici e vocals poliedriche viene descritta la pazzia di un uomo che dopo anni di profonda passione per una donna, scopre di essere stato tradito dall’amata per ben 19 volte. L’odio diventa pilota delle azioni del protagonista, che arriva a punire l’adultera conficcandole spietatamente 19 chiodi in varie parti del corpo (parti che, per mantenere un minimo di decenza, eviterò di citare). La disperazione è espressa con un sofferente cantato pulito, mentre l’odio trova sfogo in uno screaming maligno e perverso.
I due tipi di voce, incrociandosi e sovrapponedosi, descrivono con precisione l’evoluzione del’animo dell’uomo e la tortura che egli esegue freddamente sulla sfortunata ragazza.
I testi di Knochenkult sono completamente in tedesco, idioma crudele e tagliente. La scelta di utilizzare la lingua madre si rivela oculata e coraggiosa ma rappresenta anche una delle cause del limitato successo ottenuto dalla band al di fuori dei confini nazionali. Le lyrics, estreme ma non in maniera eccessiva, si muovono tra temi che richiamano la violenza Death/Gore (es. “Das liebe Beil”, La Cara Accetta…), l’occultismo (“Erscheine!”, Appari!) ed il vampirismo (“Blut ist Leben”,Il Sangue È Vita, et al.) e, sebbene risultino a volte pacchiane, sono ben curate.
Per la cronaca, proprio a causa della prevalenza di testi malati e violenti, considerati “crudeli, inumani, misogini e brutali” dalla severa censura tedesca, tre dei sette album partoriti dal combo tedesco sono stati censurati (in modo simile a quanto accaduto ai mitici Cannibal Corpse per i primi tre dischi), ed uno di essi (esattamente “Krebskolonie”, che a dirla tutta è probabilmente meno “scandaloso” degli ultimi lavori) è vietato in Germania e non può essere ascoltato nè suonato in pubblico. La band ha dovuto accettare tale provvedimento (sebbene, a rigor del vero, siano presenti on line recenti estratti di live dove vengono proposte canzoni contenute in tale lavoro) senza potersi difendere, perchè avvisata troppo tardi dalla precedente casa discografica, produttrice del disco.
Vero è che con lyrics come: “Uccidi una persona ogni giorno – Da oggi per due settimane – Scegli accuratamente dalla carne – che mi regala il suo soffio vitale” (tanto per citarne una che non è comunque in grado di competere neanche lontanamente con i testi dei veri maestri del Gore), non è affatto facile farsi amare dai ben pensanti. La cosa non sembra tuttavia toccare più di tanto il gruppo, che continua con noncuranza a percorrere la propria strada.
Lyrics a parte, l’abilià compositiva dimostrata dagli Eisregen è buona, con trame sonore che si snodano in modo variegato tra parti violente e altre ponderate. Il tutto è sapientemente accompagnato dalla presenza costante dei synth, in grado di creare atmosfere plumbee, profonde e malinconiche.
Il sound ottenuto risulta in definitiva ricco, abbastanza variegato e bilanciato e non risente della produzione non ottimale ma comunque discreta del disco.
Concludo la recensione consigliandovi di provare questo Knochenkult, o quanto meno di ascoltarne qualche brano. L’album in sè, ad avviso di chi scrive, è in grado di trasmettere emozioni, tuttavia tale aspetto risulta legato in modo imprescindibile alla sfera emotiva personale di ognuno di noi.
Dal punto di vista stilistico presenta caratteristiche variegate, apprezzabili o meno dalle diverse frange di pubblico verso il quale è diretto. Sappiate comunque che se deciderete di addentrarvi tra gli umidi anfratti di questo strano album potreste ritrovarvi catapultati nel crepuscolare mondo degli Eisregen dove il bene è male ed il male è bene, ed una calda oscurità ammanta ogni cosa.
Alessandro Cuoghi
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TRACKLIST:
1. Stahlschwarzschwanger
2. Treibjagd
3. Erscheine!
4. Das liebe Beil
5. 19 Nägel für Sophie
6. Sei Fleich und Fleisch sei tot
7. Schwarzer Gigolo
8. Süssfleisches Nachtgebet
9. Das letzte Haus an der Einbahnstraße
10. Knochenkult
11. Blut ist Leben