Recensione: Kohti kotiani kaaosta
Il primo full-legth dei finlandesi Deathkin vede la luce originariamente nel 2016 ad una tiratura limitata 200 copie. La storica label Hammerheart Records decide, ad un anno di distanza, di darlo alle stampe nuovamente. Non a caso una casa discografica di questo tipo si muove alla pubblicazione di un disco, così che “Kohti kotiani kaaosta” risulti una vera nera perla del metal estremo.Il primo full-legth dei finlandesi Deathkin vede la luce originariamente nel 2016 ad una tiratura limitata 200 copie. La storica label Hammerheart Records decide, ad un anno di distanza, di darlo alle stampe nuovamente. Non a caso una casa discografica di questo tipo si muove alla pubblicazione di un disco, così che “Kohti kotiani kaaosta” risulti una vera nera perla del metal estremo.
Parliamo di black metal, con molteplici sfumature epiche e sfuriate in stile death. In prima istanza, ci è balenata per la mente la ferale essenzialità degli Eminenz, unitamente poi all’epico taglio degli Emperor. C’è moltissima espressività nei brani, nell’impasto delle voci, crescendo corale che va dritto al cuore emozionandoci.
Sorretto da un suono ruvido, ma mai banale, “Kohti kotiani kaaosta” è vibrazione che ci desta, sogno che viene spezzato da un risveglio brusco. Veniamo catapultati in un luogo impervio, in cui vento gelido soffia, insinuandosi nelle ossa. Voci si conficcano come insensibili chiodi nella testa, dubbi che si insinuano e che poi sfregiano il corpo in uno spasmo. Terrorizzati vediamo crescere intorno a noi immagini angoscianti. Litanie echeggiano nella mente, babele in cui l’anima diventa mezzo con cui amplificare insofferenza, diventandone anche noi espressione compassionevole.
Le tracce, seppur corpose per durata, riescono a coinvolgere e stuzzicare l’ascoltatore. Mai per un secondo tediati accogliamo questo flusso di omerica violenza, viaggiando tra anelito, strazio e difficoltà. Sentiero irto di pericolo ci attende, conficchiamo dita nella fredda terra per salire, perdendo pian piano la sensibilità, quasi l’emotività sublimi con la fatica, disperdendosi. Istinti primordiali però ci pungolano, fino a farci salire in questo cielo in cui battaglie tempestose squarciano un cielo dapprima coperto si riempie di speranza. Il full-length vive di citazioni heavy metal, metriche e folli strutture death ed istanti struggenti.
I Deathkin si lasciano andare, liberi da schemi, icastici e personali nel proprio intercedere black. Proprio l’inclemente nera fiamma arde in lontananza, freddamente scaldando l’ignaro pellegrino. Vi invitiamo ad ascoltare e sviscerare un disco di valore assoluto, piacevole sorpresa di questo 2017.
Stefano “Thiess” Santamaria