Recensione: Konung Hmel
La vita è davvero strana. Solo ultimamente mi sono reso conto di aver vissuto in una specie di limbo in cui ero convinto che l’intero pianeta fosse a conoscenza dei Troll Gnet El, o Troll Bends Fir che dir si voglia, e che i loro album fossero costantemente oggetto di discussione tra gli appassionati non solo del folk metal, ma anche del pagan, black e heavy in generale. Sarà che per qualche motivo giravano spesso tra i gruppi del fu Audiogalaxy, e sarà che hanno ricevuto sempre un occhio di riguardo dai soliti due o tre appassionati di folk, in deliquio da quando il primo album è interamente scaricabile gratuitamente dal loro sito… insomma, sarà quel che sarà, ma l’idea di una “propagazione mondiale” del quintetto di San Pietroburgo si è misteriosamente frantumata quando, entrato in possesso della loro ultima fatica, ho deciso di cercare un paio di informazioni storiche del gruppo su internet.
Mai vista tanta desolazione, specialmente in relazione alle mie aspettative. Eppure questo “Konung Hmel” sembra essere uscito, almeno in Russia, con tutti i crismi di un album ufficiale.
Il fascino intrinseco di questa band inizia innanzitutto con il vago tentativo di comprensione del promo, con band, tracklist e informazioni interamente in cirillico; aggiungiamoci che è arrivato praticamente per caso, e in realtà solo il vago ricordo della copertina del loro precedente Hangoverlainen Juhlat mi ha consentito di capire di che gruppo si trattasse.
Fortunatamente, a differenza delle lingue, la musica è universale, e le dieci tracce dell’album si sono diffuse nell’aria con la stessa limpidezza con cui un ruscello si getta giù per un dirupo. I Troll Gnet El sono ancora una volta artefici di un folk freddo e cristallino da taverna medievale; niente elettricità, solo un basso di tanto in tanto che si unisce al fragore temperato dei flauti di legno, dei violini, dei timpani e delle caldissime voci di Leonova Maria e Kostya Rumyancev che eseguono, canzone dopo canzone, degli squisiti duetti che ricordano, quantomeno per complicità, quei giorni in cui Andreas Hedlund e Cia Hedmark ricamavano le possenti melodie di Otyg e Vintersorg.
Chi ricorderà Hangoverlainen Juhlat rimarrà immediatamente sorpreso da Konung Hmel: sebbene le sonorità siano rimaste pressoché identiche, la band è maturata non poco, e si sente grazie a tracce di grande pregio come “Hell’s boots” – una vera e propria staccata d’atmosfera in cui i boccali di birra fanno largo al folk più sentimentale e caloroso, con ritmi un po’ più rilassati e articolazioni vocali più intriganti.
Nonostante tutto, comunque, i Troll Gnet El rimangono una band da taverna, e come tale desiderano essere trattati: ecco infatti che le melodie semplici e affilate come coltelli (“Ulv’s Brewery“, “Stoneale“) si ripetono battuta dopo battuta e portano con sé l’odore dei tavoli di quercia, del frumento, del luppolo e del sangue della rissa occasionale. Sia bene inteso: nonostante il mix di odori tipicamente conviviale, qui siamo ben lontani dalla furia dei Trollfest o dai gozzovigli dei Finntroll: questi russi prendono la sbronza dal lato più intellettuale, quasi forbito, e accompagnano le bevute con grida complici, improvvise accelerazioni e inviti alla contemplazione, più che alla distruzione. In questo senso le tracce potrebbero vagamente sembrare simili tra di loro, ma basta una manciata di ascolti per riuscire a trarre il massimo giovamento da una band che affonda le proprie radici nel folklore più intimista dei villaggi siberiani, laddove il freddo non irrompe con la furia dei venti atlantici, ma si deposita con la grazia ingombrante dell’alito polare.
D’altro canto, lo stesso intimismo è facilmente riscontrabile in una band delle vicinanze, i Drudkh, che ben più di molti scandinavi riesce a valorizzare il calore di un raggio di sole o il contrasto di un filo d’erba in una distesa bianca e gelata.
Insomma, per passare una buona mezz’ora in compagnia di duetti – in pieno russo – grezzi e ben congegnati circondati da un continuo scuotere di boccali e ospiti ubriachi, questo Konung Hmel è un album perfetto, in grado di attrarre l’attenzione di chiunque senza suscitare grida al miracolo. Certo non cambierà la storia della musica, ma insieme a Urminnes Havd, Origin e Songs of Grief & Solitude fa certamente la sua sporca figura tra i ranghi degli album usciti ultimamente che sono dichiaratamente devoti alla contemplazione, a volte allegra e a volte mistica, senza l’ormai canonico sacrificio dell’udito.
TRACKLIST:
1. Фольклорная-застольная (Folklore-Drinking Song)
2. Конунг Хмель (Konung Hop)
3. Пивоварня Ульва (Ulv’s Brewery)
4. Мой Дед Говорил… (My Grandfather said… )
5. Башмаки Хель (Hell’s Boots)
6. Сырный Штурм (Cheese Sturm)
7. Сильматроллион (Silmatrollion)
8. Kаменный Эль (Stoneale)
9. Скальд (Skald)
10. Фольклорная-застольная (Folk-drinking-song (true version)