Recensione: Kre’u
Dopo aver guardato il suggestivo videoclip di “A Sos Antigos”, primo singolo estratto da “Kre’u”, chissà per quale motivo l’Algoritmo (con la ‘A’ maiuscola, come si addice ad ogni Demone degno di questa definizione) ha deciso di propormi lo storico videoclip di “We’re not Gonna Take it” dei Twisted Sister. Apparso qualche anno dopo la mia nascita, il video mostra le ripetute defenestrazioni di un ‘papà di ferro’ dalla sua casa perbene, causate dalla potenza musicale di un quintetto di energumeni truccati e abbigliati con fluidità…quarant’anni prima che l’attuale concetto di ‘sessualità fluida’ facesse la sua apparizione. Palesemente destinata a legioni di giovani ribelli, questa canzone sembrava opporsi allo status quo imposto dal Capitalismo del dopoguerra…pur essendo contenuta in “Stay Hungry”, album dalle vendite milionarie, pubblicato nel 1984 da quell’Atlantic Records che già dal 1967 faceva parte della multinazionale Warner Bros. Questo cortocircuito fra il Consumismo (altro pericoloso demone) e il suo dileggio, due imprevisti lati della stessa medaglia, ha frequentemente spinto molti musicisti a mettere da parte la modernità per cercare rifugio in epoche arcaiche, ritenute più genuine e adatte a sostenerne le manifestazioni artistiche. Il Metal, un movimento musicale e sottoculturale nato anche per opporsi alle tradizioni, è riuscito in questo modo a trasformarsi in un’energia pronta a trarre da esse infinita ispirazione.
Uno dei generi musicali che negli ultimi decenni ha rappresentato meglio questa tendenza al ‘ritorno alle origini’, se così si può dire, è probabilmente il Black Metal. Penso, tanto per fare due fra i mille possibili esempi, alle canzoni degli statunitensi Dzö-nga, ispirate alle leggende dei Nativi americani, oppure ai primi dischi degli Ulver, con i quali la nota band diffuse nel mondo il folklore norvegese. E in Italia? Pensiamo ai siciliani Inchiuvatu o alla one man band campana Scuorn, entrambi noti per aver arricchito le loro opere con suoni provenienti da strumenti musicali tradizionali e testi cantati nelle rispettive lingue regionali. Grazie a Kre’u possiamo aggiungere un nuovo nome alla lunga lista di entità musicali desiderose di recuperare sonorità e memorie centenarie. Il disco oggetto di questa recensione affonda le sue radici musicali e tematiche nella cultura e nelle tradizioni della Barbagia, zona talvolta descritta come il ‘cuore’ della Sardegna: si parla di ‘Barbagia Black Metal’…e non potrebbe essere altrimenti, considerando innanzitutto l’opera dal punto di vista dei testi. Tutte le liriche, infatti, sono state scritte utilizzando esclusivamente la lingua regionale sarda, senza contare il frequente inserimento di linee vocali che impiegano tecniche proprie del ‘canto a tenore’. Lo stile musicale, invece, è molto personale e risulta arduo confrontarlo con la produzione di altri esponenti del genere. Si possono perlopiù percepire echi provenienti dalle storiche opere di Bathory e Gehenna, talora affiancati da fosche atmosfere Ambient e risonanze Gothic e Progressive, in una feconda mescolanza di influenze trattata con piglio quasi cantautoriale. E’ stato lo stesso Ignazio Cuga, mastermind del progetto Kre’u, a confermare questo approccio in una bella intervista in cui, inoltre, fornisce a tutti gli interessati un’esaustiva descrizione dei contenuti tematici di ogni brano. Invito i Lettori arrivati sino a qui a prendere visione dell’intervista: potete rintracciarla cliccando su questo collegamento.
I 42 minuti richiesti per la riproduzione di “Kre’u” riservano molte sorprese. Si parte, coraggiosamente, con “Dae Una Losa Ismentigada”, brano di nove minuti in cui il cantante interpreta una poesia sepolcrale di Peppino Mereu senza l’accompagnamento della batteria. Si tratta di un’introduzione inaspettata, che con le sue atmosfere cupe e rarefatte prepara l’ascoltatore ad un’opera spesso lontana dai violenti parossismi tipici del genere. Sia chiaro, la band non vi accompagnerà in una tranquilla passeggiata nell’entroterra sardo: “Kre’u” è e rimane un disco Black Metal. I segmenti più aggressivi dell’album, però, vengono saggiamente bilanciati da momenti più riflessivi, a volte quasi onirici, capaci di rendere molto varia l’esperienza di ascolto. Penso, ad esempio, alla già citata “A Sos Antigos”, il cui incedere opprimente e a tratti marziale si contrappone all’ultima sezione del brano precedente, “Sa Morte ‘e su Pastore”, in cui ascoltiamo l’unica vera sfuriata in blast beat presente nel disco. La tendenza a insistere su ritmi cadenzati e marziali si ritrova anche in altre tracce, come ad esempio in alcuni passi di “Notturnu”: è in questi momenti che “Kre’u” ci mostra il suo lato più epico e solenne. Non a caso il brano più battagliero del lotto, nonché il più breve, viene posto in fondo alla scaletta, come a voler concludere ‘in salita’ un maestoso viaggio in un’epoca gloriosa e ormai tramontata: si tratta di “A Palas Non Torred”, il cui videoclip è stato per qualche giorno a disposizione esclusivamente per i Lettori di TrueMetal.it.
Vorrei comunque tranquillizzare i fan del Black Metal più oltranzista: l’ascolto di “Kre’u” sarà comunque in grado di accontentare anche loro. Le canzoni “Notturnu” ed “Ebbia su Sambene”, oltre alla succitata “A Palas Non Torred”, verranno apprezzate da tutti gli appassionati bisognosi di irruenza sonora. Non ci si aspetti, questo sì, una corsa a perdifiato lungo i sei brani del disco: “Kre’u” non è e soprattutto non vuole essere il nuovo “Battles in the North”, furioso e violentissimo terzo disco degli Immortal. L’orientamento leggermente più meditativo che permea le canzoni di “Kre’u” ben si adatta allo spirito che pare aver governato l’intera operazione. Il termine Kre’u, in sardo, significa ‘quercia’. Questa parola richiama alla mente concetti che il mondo odierno tende a dimenticare: stabilità, resistenza, esperienza, sacralità. A loro volta, questi concetti risultano legati indissolubilmente al passato, talvolta reale e talvolta immaginario, a cui molti guardano con nostalgia e rispetto. Più la cosiddetta contemporaneità avanza, con tutto il suo carico di menefreghismo e superficialità, più si rende necessario fermarsi, riflettere e spingere la memoria ben più indietro rispetto al momento in cui abbiamo iniziato la riproduzione dell’ultimo reel su di un qualunque social. Come riuscire a frenare quest’apparentemente inarrestabile desiderio di vivere il qui e ora? Il recupero degli antichi valori e delle tradizioni può sicuramente aiutare. Nessuno sta suggerendo di abbandonare la modernità per ritirarsi a vivere in eremitaggio, figuriamoci. Lo sforzo da fare però è proprio questo: vivere nel presente senza dimenticare ciò che siamo stati e chi c’era prima di noi, con buona pace di coloro che non riescono a rinunciare alle gratificazioni momentanee distribuite con tanta generosità dagli schermi tattili. Concluderò quest’articolo con una citazione che spero vivamente essere esatta. Sono parole scritte nel 1927 da Antonio Gramsci, noto politico, pensatore e critico letterario italiano la cui coloritura politica, in questa sede, non ci interessa particolarmente. Gramsci, sardo nativo di Ales, in provincia di Oristano, in una lettera indirizzata ad una famiglia di parenti scrive queste frasi parlando del loro bambino:
‘Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispiaceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea (nipote di Gramsci, ndr), da bambinetta, parlasse liberamente in sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambini. Ti raccomando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro.’
Provate a rileggere la citazione sistemando, al posto delle parole ‘sardo’ e ‘sardismo’, altrettante parole riferite alla Vostra Regione di appartenenza: vedrete che il paragrafo continuerà a funzionare alla grande. “Kre’u”, opera atipica e assai evocativa, sembra essere una conferma puntuale di questo pensiero. Un consiglio? Non ritardate oltre la fruizione di questo disco: per apprezzarlo appieno saranno necessari molti ascolti. Sono sicuro, tuttavia, che “Kre’u” darà molte soddisfazioni a tutti coloro che vorranno dedicargli qualche preziosa ora. Buon ascolto!
Kre’u su Bandcamp: https://krehu.bandcamp.com/album/kre-u
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