Recensione: Krom
Tra le tappe obbligate che una giovane band deve obbligatoriamente attraversare, ce n’è una in apparenza semplice e di rapida risoluzione: la scelta del nome. Ma se trovare un monicker rappresentativo e non banale non è sempre facile come sembra, oggigiorno escogitarne uno che non sia già stato adottato da qualche altra band in giro per il mondo rischia di diventare una vera e propria impresa. Lo sanno bene Turilli, Staropoli e soci, di recente costretti a ribatezzarsi Rhapsody of Fire e, tra gli altri, lo sanno bene anche i Krom. Attivi dal 1998 come Hastur, nel 2002 cambiano sia il genere (da death a black) sia il nome, che già era appartenuto a una black metal band dell’underground genovese a metà degli anni novanta. Ribatezzatisi come Krom, attraversano una nuova fase di profondi mutamenti stilistici fino a che nel 2006, anche per evitare confusioni con un’altra omonima band partenopea, approdano finalmente al (si spera) definitivo monicker Kailash.
Nel frattempo, tuttavia, la loro intensa attività compositiva li ha portati a produrre ben quattro demo, il primo dei quali è proprio quello quivi presentato.
Le sei tracce che compongono “Krom” si gettano a capofitto negli abissi della tradizione black, dominate da un sound graffiante, oscuro, a tratti allucinato e tremendamente evocativo. La produzione, piuttosto scarna ma ancora accettabile, conferisce all’album – interamente registrato in presa diretta – quel fascino crudo e maligno tipico dell’underground. Investito da una tempesta di suoni violenti e sanguinari, l’ascoltatore si troverà ben presto scaraventato in una selva di tenebra, squassato da un drumming fulminante e da un riffing cupo e serrato. Accanto alla colata di nera disperazione, non manca una vena di sotterranea melodia, sepolta sotto strati di lame e ossa, che emerge negli stacchi più atmosferici e durante i taglienti assoli delle chitarre. Colpisce tra gli altri “The Ride of Mithrandil”, uno degli attacchi più brutali portati dal combo viterbese, che pure sconfessa un apparente minimalismo sonoro con una quantità impressionante di cambi di tempo.
La sensazione è di non avere a che fare con la solita black metal band, e la title track – suddivisa in due parti, entrambe strumentali – rafforza i primi sospetti. Avvolgendo l’ascoltatore nelle sue spire di tenebra e decadenza, “Krom” abbina ai tipici stilemi del black un continuo sovrapporsi strutture agili e sfuggenti, in continua mutazione, fino a giungere nella sua seconda metà a un sound di grande atmosfera, eclettico, come pregno di oscuro romanticismo. E’ un segno inequivocabile delle potenzialità della band, che si svilupperanno poco a poco nei lavori successivi.
Ma già da quel che si può sentire su questo demo, il valore dei Krom appare evidente. Questi ragazzi avrebbero potuto proseguire con successo lungo il sentiero un sentiero già battuto, ma poco a poco hanno iniziato a forzare le sbarre che costringevano il loro sound entro i rigidi confini della tradizione per tracciare da sé una nuova via. Una scelta che, risultati alla mano, pare del tutto vincente. Tuttavia, anche senza considerare ciò che ne conseguirà, questo brillante (pardon, oscuro) esordio si conquista buone possibilità di assurgere un giorno allo status di disco di culto, non solo come primo passo di una band dalle grandi potenzialità, ma anche come disco di spessore, piacevole da ascoltare per sé, a prescindere quel che ne è seguito e, nel tempo, seguirà..
Tracklist:
1. Dark Silva
2. Hastur
3. Irminsul’s oak
4. The ride of mithrandil
5. Krom (Part I)
6. Krom (Ballad Part II)