Recensione: Krononota
A sentire “Color Daunia” la prima volta mi erano venuti in mente i Marlene Kuntz di “Che cosa vedi”. Non tanto perché il gruppo di Cuneo abbia a che spartire con gli In tormentata quiete. No, è una sensazione diversa, quella di una band che a un certo punto sente il bisogno di spegnere il suo lato rabbioso in favore di qualcosa di più ‘composto’. Questa può essere la chiave di lettura da cui avviare l’analisi di “Krononota”, nuovo parto discografico della band emiliana.
Sia chiaro, “Color Daunia”, pezzo che deve aver lasciato esterrefatto più d’uno al primo ascolto, non è però il miglior biglietto da visita di quest’album. Un pezzo dolcissimo e tanto melodico che, non fosse per qualche inserto di growl, non avrebbe problemi a passare sulle radio italiane. Ma non solo su quelle di settore. Su tutte proprio. E ciò nonostante non snatura la natura trasformista degli ITQ e neppure ne offusca l’immagine di band tra le più affascinanti del panorama metal di casa nostra. Ma questi sei minuti una cosa la dicono e molto chiara, ovvero che gli ITQ, questa volta, scelgono la melodia e le soluzioni di facile assimilazione.
“Krononota” è in effetti il più accessibile dei loro album. Merito indubbio dell’ennesimo cambio alle voci, con due novi clean singers, Samantha Bevoni e Davide Conti, dotato di uno stile più prossimo al nostro rock alternativo che a quello dell’avantgard metal. E sia chiaro che, nonostante ciò, questo disco permane al 100% avantgarde. E neppure semplice a livello compositivo, per quanto le orecchie non se ne accorgano.
A testimonianza di ciò il disco parte mettendo sul piatto “Urlo del tempo”, ovvero una strumentale sei minuti. Per di più una composizione d’anima prog divisa in tre fasi, la prima cupa e ipnotica, la seconda decisamente eterea ed alternativa, la terza (complice il sax) che pare uscire da un disco dei migliori Solefald.
Con la successiva “Sapor umbro” ci troviamo innanzi gli In tormentata quiete che più siamo abituati a conoscere. Un pezzo ruvido di chitarre e decisamente pesante, su cui però si inseriscono in maniera estremamente naturale le clean vocals, ora di decisamente facile ascolto e ora decisamente più prossime a certo avantgarde metal. E non è tutto, perché in chiusura c’è ancora un breve outro che fa tanto “gruppo indie italiano degli anni ’90”.
Una sensazione che si ripropone spesso e volentieri anche in “Lo sguardo D’Anteo”, che pure è un pezzo estremamente cupo. È l’album è tutto così, un rincorsi di tutti questi elementi, ora mischiati anche a certi Novembre (“Abbraccio d’Emilia” e la stupenda “Odor mediterraneo”).
“Krononota” è un album che funziona benissimo, risulta gradevole e vario in tutta la sua durata. Soprattutto, riesce a suonare semplicissimo a dispetto di un gran numero di cambi di ritmo ed atmosfera. Non ultimo, suona semplice sebbene con soli sei pezzi (e un outro) riempia 50 minuti. Bastano due ascolti a memorizzarne i punti salienti eppure non stanca mai, non importa quante volte lo si ascolti.
Se “Krononota” è l’ennesimo centro del gruppo emiliano, risulta però difficile capire se esso costituisca anche un punto di svolta nella loro carriera discografica, magari con una brusca sterzata verso sonorità meno estreme. In effetti la melodia non è mai stata estranea agli In tormentata quiete, lo si era già sentito a tratti, per esempio, in “Cromagia“. E soprattutto, uno dei pregi di questa band è quello di fare album anche profondamente diversi tra loro senza snaturare la loro sonorità di base. Così è anche per “Krononota”. Il resto si vedrà in futuro.