Recensione: Kubark Project
‘Kubark Project’ è il primo album dei D-Tox (nome che riprende il titolo del film del 2002 con Sylvester Stallone e che è riferito ad un centro di riabilitazione per poliziotti che hanno subito traumi psicologici), gruppo che nasce a Roma nel 2017 da un’idea di Paolo ‘Dr. Phibes’ Caucci (chitarra) e Fabio ‘FX’ Capulli (basso), ai quali si sono aggiunti Riccardo ‘Rick Rock’ Macrì (batteria) e Emanuele ‘Hellvis’ Galanti (voce).
Trattasi di un concept che affronta il complicato tema del passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, utilizzando simboli ed immagini forti ed attraverso la storia di quattro ragazzi che esplorano un ospedale psichiatrico dismesso ed in stato di abbandono.
Ansia che diventa angoscia, irritazione, senso di solitudine e tristezza, sono tutti stati d’animo generati da un sound imperniato su un Thrash solido, potente e senza pause, contaminato da altri elementi tanto compenetranti quanto divergenti.
‘Kubark Project’ crea emozioni suggestive: man mano che il disco procede le scure pareti dell’immaginario manicomio si materializzano, diventando sempre più strette fino a comprimerti il petto e, se sei ormai adulto, ti tornano alla mente tutte le difficoltà affrontate durante quel duro e particolare momento di transizione.
Estremi senza esserlo, i D-Tox non tirano colpi di frusta suonando a velocità smodata od esprimendo una furia incontrollata. Al contrario, il loro sound è potente e pesante ma ragionato, frutto di una ricerca sonora che non si è posta limiti. La variazioni sono tante anche durante i momenti più diretti e non c’è mai un momento che possa dirsi scontato.
‘Kubark Project’ è, in una sola parola, imprevedibile … fin da subito, anche nel titolo: il manuale degli interrogatori della CIA ed il diventare adulti, bah, forse l’analogia sta nella tortura …
Si passa da brani psichedelici come l’opener ‘Twilight Bravado’, dalla ridondanza ipnotica, ad altri più classici come ‘The Revolution Oracle’, che ha una struttura cangiante e multiforme (uno dei brani che preferisco, tra l’altro).
‘Rorschach Maze’ è crudele ed ansiogena, mentre la forte andatura Post Metal di ‘Black Powder Mastermind’ unisce molto bene linee di chitarra melodiche con strofe che sembrano uscite da un album dei Motorhead (complice, soprattutto, la voce graffiante di ‘Hellvis’).
‘Big Bad Block’ cambia di nuovo tutto: strofe Hard Rock inizialmente seducenti, ma che poi danno il tormento ed un refrain orecchiabile molto Rock ‘n’ Roll … niente da dire, un pezzo che prende.
‘White Angel’ si destreggia tra parti marziali ed incisive ad altre più disturbanti e malinconiche: Groove ed Alternative s’intrecciano per sganciarsi durante un interludio dall’atmosfera onirica.
‘Psycko Wacko’ è folle quanto il suo titolo, mentre ‘Splinter of Insane Lucidity’ è una strumentale potente con avvinghianti inserti prog e psichedelici.
‘Deceitful Divinity’, ‘Nothing Behind Those Eyes’ e ‘Judas Goat’ virano nuovamente verso il classico, soprattutto quest’ultima con i suoi cori coinvolgenti.
Chiude ‘Oxyuranus’, letale come il serpente velenoso che richiama.
Tirando le somme, ‘Kubark Project’ è un lavoro ambizioso ed i D-Tox ci vanno giù duri nel trattare un tema delicato nel modo più indelicato possibile, ma, esprimendo il mio personale parere, è giusto così.
La band ha dato corpo ad un sound sufficientemente personale per colpire ed anche stupire, sviscerando tante idee, espresse bene e con criterio, dando senso logico ad un non facile concept.
Delle capacità tecniche ed artistiche e dell’esperienza non stiamo neanche a parlarne: senza, questo lavoro non sarebbe potuto uscire.
Non andiamo oltre ed attendiamo gli sviluppi; bravi D-Tox, aspettiamo il seguito.