Recensione: Kyrie Eleison
Kyrie Eleison
Κύριε ἐλέησον
O Signore abbi pietà
Accompagnati da questa invocazione divina, gli spezzini Carved incidono sempre più in profondità il loro marchio di fabbrica, cioè la lettera C, che rappresenta il loro logo primigenio. “Kyrie Eleison” è il loro terzo lavoro, che segue l’EP omonimo del 2010 e il debut-album “Dies Irae”, del 2013.
Si approfondisce, cioè, quello stile così particolare già evidente del full-length di debutto: melodic death metal caleidoscopico, abbracciante contemporaneamente più generi ma con una caratteristica fondamentale. La non appartenenza agli stilemi nordici. Al gothenburg metal, appunto.
“Kyrie Eleison” dura oltre un’ora. Un’impresa sicuramente degna di menzione, se si pensa alla difficoltà di esprimere un songwriting in un campo ove, pensano molti – a torto, a parere di chi scrive – , si sia già scritto e detto tutto. Tuttavia, come più sopra accennato, i Carved risolvono egregiamente il problema elaborando una proposta assolutamente unica nel suo genere, che non rimanda a nessun altro ensemble, anche similare.
Le fantastiche orchestrazioni di Marco Mantovani e il violino di Federico Mecozzi, tanto per evidenziare un aspetto rilevante, non sono solo di supporto al sound di base ma ne sono parte integrante e sostanziale. Le varie song beneficiano in modo singolare di questa robusta iniezione di musica classica, poiché si gonfiano, mutano continuamente di colore, si trasformano costantemente. Realizzando, così, il Carved-sound, la lettera C.
Non è solo questo, però, l’unico pregio di “Kyrie Eleison”. I Carved, da “Dies Irae”, hanno compiuto una rilevante progressione che ha investito tutti gli aspetti legati alla gestazione di un disco. L’esecuzione tecnica, anzitutto, a livelli di completa professionalità, tale quindi da consentire ai Nostri di esprimersi al massimo delle loro possibilità artistiche in ambito non solo italiano ma internazionale. Arte, appunto, poi. “Kyrie Eleison” è costruito da canzoni mai banali ma al contrario sempre interessanti e vari, seppur obbedienti… alla lettera C.
Con alcuni picchi davvero notevoli, come la splendida ‘Lilith’, nobilitata da un’armonia dolce e accattivante, la quale cozza perfettamente con la parte belluina dei Carved, tirata per mano dall’ugola assai aggressiva di Cristian Guzzon. Refrain centrato e per nulla stucchevole, destinato a stamparsi indelebilmente all’interno della scatola cranica, aiutato per ciò dalle ariose orchestrazioni e dalla sottolineatura del violino.
Oltre a ‘Lilith’ si possono citare altri brani, evidenziando che tutti, più o meno, si equivalgono come livello di scrittura. A parte ‘Lilith’ medesima, talmente straordinaria da emergere con veemenza dal platter. L’incipit morbido e avvolgente al pianoforte di ‘Heart of Gaia’ è un’altra chicca – slow tempo – che rimanda al prog rock, addirittura, di act vissuti a cavallo degli anni 70/80. Meritevole di particolar menzione, anche, la suite ‘Camlann’, segnata da toni clamorosamente epici. Ma anche dalle violentissime scudisciate retaggio del death metal – che, non si deve dimenticare, è la componente primaria dello scheletro della musica dei Carved. Con un bridge da ribaltare un blindato, per la sua trascinante veemenza, e un ritornello a livello di quello della ridetta ‘Lilith’.
“Kyrie Eleison” è un altro grande prodotto della scuola italiana del death metal, e i Carved, ancora una volta, danno la netta impressione di avere degli ulteriori margini di miglioramento; anche se il livello complessivo è, buon per loro, già alto.
Daniele D’Adamo