Recensione: La Futura
ZZ Top: un nome che trasuda un aura di leggenda al solo scriverlo o pronunciarlo.
Vuoi per il caratteristico look “barbuto” che i tre texani, Billy Gibbons, Dusty Hill e Frank Beard, si portano dietro dalla notte dei tempi, vuoi per l’immortale southern/rock ‘n’ roll con cui allietano le nostre giornate da oltre quarant’anni a questa parte, i ZZ Top sono semplicemente un’istituzione. Non a caso è capitato di vederli partecipare, sia fisicamente, come nel gustoso cameo ai tempi di Ritorno Al Futuro III, sia più spesso, grazie alla loro musica, a videogiochi, film e spot pubblicitari di cui di volta in volta canzoni come “Tush!”, “La Grange”, “Can’t Stop Rockin’” e mille altre sono andate a costituire parte della colonna sonora.
Passati attraverso quattro decenni di storia e di musica che hanno, ovviamente, influenzato la loro proposta, facendoli passare dal southern minimale dei primi anni ‘70 ad un hard rock via via più melodico e inaspettatamente “raffinato”, pur senza snaturarne l’essenza, i tre redneck ritornano oggi, a distanza di nove anni dal precedente “Mescalero”, con un nuovo album dal titolo “La Futura”.
Bastano pochi ascolti e risulta immediatamente chiaro ed evidente che si tratta di uno di quegli album per i quali l’obiettività di giudizio se ne va bellamente al Diavolo in un batter di ciglia. Che siano i pochi accordi rugginosi che introducono l’opener o il mood scatenato ed irresisitibile di “Consumption”, il punto è che ci troviamo di fronte a dei maestri assoluti, e chissenefrega se la voce di Billy Gibbons non è più quella di un tempo, o se quest’album vive fondamentalmente della luce riflessa di quasi quarant’anni di storia del rock: la vibrazione è quella giusta, il godimento c’è tutto e con esso il fascino “romantico” di una band che non molla un millimetro, a dispetto delle molte primavere inanellate.
“I Gotsta Get Paid” sembra partire un po’ in medias res, ma fin dal primo momento il gioco è chiaro. Gibbons e compagnia, com’era pronosticabile, non cambiano di una virgola il loro modo di fare musica, né si sognano di farlo: è perfetto così com’è e al più, come testimoniano anche le successive “Chartreuese” e “”Consumption”, tra chitarre calde, voci ruvide e ritmi irresistibili, si può registrare un certo “ritorno alle origini”, cioè a quel sound minimale che caratterizzava le loro uscite prima del successo commerciale. “Over You”, con il suo assolo tutto storto e fischiante e un cantato che si approssima sempre più ad un parlato rauco e soave come il raschiare della carta vetrata su un legno d’annata, emana un fascino particolare, davvero speciale ed imperdibile per i fan delle ballate mentre la successiva “Heartache In Blue” è uno slow a dir poco favoloso, con chitarre sfrigolanti, armoniche e una voce calda e ruvida a dipingere un’impareggiabile atmosfera da vecchio west. Sentite il bisogno di tornare ad alzare un po’ il ritmo e il volume? Niente paura, le tre “Barbe” più famose del mondo vengono immediatamente incontro ai vostri desideri con la superba “I Don’t Wanna Lose You, Lose You”: hard rock senza fronzoli e dal passo spedito, intriso di blues, rock ‘n’ roll e di una voglia di divertirsi e fare casino che mai e poi mai farebbe presagire la reale età di questi vecchi ma inossidabili rocker.
Anni ‘70 a più non posso anche in “Flyin’ High”: riffing da manuale, grande lavoro di basso da parte di Dusty Hill, strofe belle cariche e un refrain radiofonico stellare, il tutto declinato con sonorità vintage non troppo distanti da quelle proposte dai The Darkness sul recentissimo “Hot Cakes”. La più atipica, ma non per questo meno intrigante, è probabilmente “It’s Too Easy Mañana”, lenta, addirittura cupa, giocata su atmosfere più riflessive a metà tra hard blues e pennellate più moderne e illuminata dalla miglior prova vocale di tutto l’album. Su “Big Shiny Nine” il cantato denuncia, viceversa, qualche incrinatura di troppo ma il brano è di nuovo 100% ZZ Top-style, con più d’un richiamo alla celeberrima “Sharp Dressed Man”. Conclude come meglio non si potrebbe la fiammeggiante “Have A Little Mercy”, un altro slow blues da mandare a memoria per le generazioni future, trasudante l’energia primordiale del rock e del blues dei primi anni ‘70 e qualche reminescenza di marca hendrixiana.
Che altro aggiungere? Ci sarà certamente chi farà notare come, all‘alba dell‘imminente 2013, gruppi fondamentalmente conservatori e in giro da una vita come i ZZ Top abbiano esaurito da un pezzo ciò che di nuovo avevano da dire e che una release come “La Futura” non potrà di certo sovvertire le sorti del rock (non che questo sia, peraltro, il suo obiettivo). Dal canto nostro ci sentiamo tranquillamente in potere (e in dovere) di affermare che band come queste sono pezzi di storia, non solo musicale, del ‘900 ed è questo ciò che conta. Ritrovarli oggi in questo splendido stato di forma è qualcosa che di certo scalderà il cuore di svariati rocker là fuori, e pazienza se si tratta di un disco “formalmente inutile” in cui non vi è una sola nota che non sia già stata suonata migliaia di volte da miriadi di artisti (compresi, ovviamente, i tre texani medesimi) negli ultimi quarant’anni: “La Futura” riesce con estrema disinvoltura nell’impresa di risultare incredibilmente fresco, divertente e godibile, oltre che perfettamente rappresentativo di ciò che è, o che dovrebbe essere, il rock ‘n’ roll. Se vi par poco…
Stefano Burini
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Line Up
Billy Gibbons: voce e chitarra
Dusty Hill: basso e seconda voce
Frank Beard: batteria
Ospiti
James Harman: armonica
D. Sandy e Joe Hardy, pianoforte
Tracklist
01. “I Gotsta Get Paid”
02. “Chartreuse”
03. “Consumption”
04. “Over You”
05. “Heartache in Blue”
06. “I Don’t Wanna Lose, Lose You
07. “Flyin’ High”
08. “It’s Too Easy Mañana”
09. “Big Shiny Nine”
10. “Have a Little Mercy”