Recensione: La Morsure Du Christ
Uno dei capisaldi, e uno dei più grandi pregi del metal, è il saper associare arte e musica in maniera sopraffina. Fin dagli anni ’80 gli album iconici sono sempre stati accompagnati da cover altrettanto importanti, e siamo certi che La Morsure Du Christ non farà eccezione. La cover, appunto, ad opera di Leoncio Harmr, è stratosferica e una delle migliori viste negli ultimi anni, nel bene e nel male. E’ un artwork attuale, che scuote, imprime e compie il dovere che ogni opera d’arte dovrebbe fare. Con queste premesse, il pubblicare un disco pessimo suonerebbe come lo spendere l’equivalente del pil del Burkina Faso per un’automobile per poi andare ugualmente in bianco. Succede a molti, ma non ai Seth.
La Morsure Du Christ è il seguito del debutto datato 1998, Les Blessures De L’Ame, e rappresenta un chiaro ritorno alle origini sia in termini di musicali che di produzione. Quest’opera pare proprio registrata vent’anni fa e pubblicata ora, con tutti i pregi e i difetti del caso. I Seth propongono quindi un black metal sinfonico molto melodico ed evocativo, sulla scia dei vecchi Dimmu Borgir e compagnia glaciale andante. Qui si celebra, assieme al rogo di Notre Dame, la fine del regno cristiano e il tradimento finale di Dio.
Sono sette i brani che compongono l’album e si assestano tutti su una durata medio-alta; quello che importa però, come in tutte le cose, è il contenuto, e qui è grasso che cola. La Morsure Du Christ suona sì d’altri tempi e per qualcuno potrebbe sembrare vecchio e anacronistico, però la qualità dei brani proposti è talmente alta che finirà per conquistare anche il più ortodosso degli scettici. Il disco è un vero e proprio macigno con un perfetto equilibrio tra un impatto molto melodico dato da tastiere e chitarre e la ferocia devastante di una sezione ritmica che rallenta pochissimo e sembra posseduta dal Demonio in persona. Ottima prova al microfono di Saint Vincent col suo scream dalla timbrica sporca e feroce, in grado anche di produrre ritornelli esaltanti e facilmente assimilabili. La produzione è volutamente votata agli anni ’90 e la scelta risulta azzeccata; coi suoni moderni si sarebbe ottenuto un risultato parecchio diverso e, con ogni probabilità, meno adatto a quello che l’opera rispecchia.
Ce n’è per tutti i gusti nei brani di La Morsure Du Christ e i Seth non si sono risparmiati, risultando maestri sia nelle partiture aggressive che in quelle più melodiche. I finali di Ex-Cathédrale e Hymne au Vampire (Acte III), ad esempio, mettono in luce anche un grande gusto per la melodia e i momenti atmosferici di grande classe, che si rivelano durante l’ascolto come la ciliegina su una torta già di per sé ricchissima.
Grande cura è stata riposta anche nei testi, che sono in francese alessandrino o martelliano. Parliamo quindi di componimenti in versi formati da doppi esasillabi, che nella nostra lingua sarebbero i settenari, con due parti giustapposte, dette emistichi.
La Morsure Du Christ è un prodotto a trecentosessanta gradi, completo e in grado di dare soddisfazioni a tutti. E’ bello da vedere, bello da sentire, bello da leggere ed è supportato da vinili pitturati come i vetri di una cattedrale gotica e cofanetti in legno con fiammiferi e ceneri, così, alla vecchia maniera. La storia della Season Of Mist iniziò proprio insieme ai Seth, che furono una delle prime band scritturate, e continua con un’opera di cui si parlerà a lungo e a cui risulta molto difficoltoso trovare un difetto. Prendete e godetene tutti.