Recensione: La mort de l’infidèle
I francesi Sektarism sono attivi dal 2005 ed hanno alle spalle una carriera discografica piuttosto scarna: due album(compreso questo di cui vi stiamo parlando) ed alcune uscite alla spicciolata tra demo ed Ep. Il loro sound è un funeral doom molto minimale, per certi aspetti tribale nei toni. Protagonista è certamente la voce narrante, ideale dialogo tra l’ascoltatore e gli artisti, lamento che si staglia tra le ipnotiche ritmiche dei tre corposi brani. Ci sono dei momenti in cui possiamo definire di trovarci di fronte ad un “cantato”chiaramente in linea con il filone, ma per la maggior parte del tempo questa intonazione oratoria resta punto fermo dell’album.
Chiaramente, come capita spesso in questi filoni, ci vuole una certa pazienza per metabolizzare un sound di questo tipo. Rindondanti, macilenti e poi mesti i musicisti cercano di carpire l’attenzione con l’emotività e il gioco dilato del tempo. Nulla da eccepire, in generale su questo discorso.
Molti non amano il doom, per svariate ragioni, ma è indubbia l’unicità di un filone che riesce sempre a suo modo a penetrare nell’anima di chi se ne vuole appassionare. Il caso dei Sektarism però è diverso, perché pur restando su determinati lidi, è chiaro come teatralità ed esasperazione di questo prosatore risultino indigesti. Non è questione di tempi dilatati o di suoni monolitici, perché sarebbe assurdo contestare ciò ad un sound che vive di tutto questo, ma di atteggiamento vero e proprio. Tutto è statico a livello di idee, strutture, un suono che si ripete e che non ci porta realmente da nessuna parte, fiaccandoci solamente in un’inquietudine che si trasforma presto in noia. Lavoro che vi sconsigliamo e che non ci ha in alcun modo appassionato. Vi auguriamo possa essere per voi un viaggio mistico o possa illuminare emozioni che restano inerti invece in noi.
Stefano “Thiess” Santamaria