Recensione: La Muerte
Un vuoto lasciato improvvisamente sette anni fa, un vuoto che torna a
colmarsi. Una band che, al di là delle legittime opinioni su quanto proposto in
ogni singolo disco, non ha mai rinunciato ad osare e si è per questo guadagnata
uno dei posti più importanti sulla scena death metal europea. I Gorefest
tornano a vivere nel 2005 e lo fanno con un album, La Muerte,
summa di tutta una carriera e allo stesso tempo rivolto al futuro.
Il gruppo olandese, per chi ai tempi non fosse stato un fan del settore, è
semplicemente seminale: una carriera iniziata nei primissimi ani ’90 con due
album, Mindloss e False, ancora acerbi e grezzi, ma
che già mostravano determinazione e ricerca di una poltrona propria in mezzo ai
troni di un genere che, di fronte all’ondata black nordica di quegli anni,
tendeva ad imbolsirsi e retrocedere; continuata poi con un live registrato
nientemeno che presso lo storico Dynamo Festival (ai tempi, insieme al Monster
of Rock di Donington, il festival metal più importante d’Europa) e un nuovo
studio-album, Erase, che lasciava intravedere i primi pesanti
cambiamenti stilistici che li avrebbero poi portati ad allontanarsi dalle
proprie basi, in cerca della sperimentazione perfetta. Che non arrivò mai, ma
che venne tentata in due riprese: Soul Survivor, del 1996, che
segnò forse il punto di allontanamento massimo dal metal estremo
tradizionalmente concepito, con influssi hard rock pesantissimi; e Chapter
13, che li vide all’opera su una formula abbastanza azzardata da far
guadagnare loro la definizione di “AC/DC del death metal”. Seguì un
gran clamore, un rischiosissimo tour di supporto ai… Judas Priest (leggete a
proposito le parole del cantante Jan-Chris de Koeijer nell’intervista
realizzata per l’uscita di questo album) e, infine, il disfacimento del gruppo:
che si era spinto troppo in là per anni, passando sopra per esigenze di
business a divergenze personali che stavano diventando ormai insanabili.
Come dobbiamo considerare La Muerte allora? Dopo un ascolto è
subito ovvio: come il ritorno alla piena ispirazione di quattro musicisti di
nuovo motivati a divertirsi con la musica. Quando parlavo di ‘summa di una
carriera’ intendevo ovviamente che il suono va a riassumere quanto proposto in
10 anni: la base è molto più death metal che negli ultimi due dischi,
sicuramente; ma non mancano certo le sperimentazioni, favorite (anche se solo in
minima parte) da una tecnologia che nel frattempo si è sviluppata di molto.
Ecco quindi un pezzo veloce e diretto – il singolo perfetto – come For the
masses introdurre un lotto di tracce che comprendono anche una
sperimentalissima Rogue State (dal riffone hard rock, e sentite che
riffone!), una cupa You could make me kill col suo climax finale, una
aggressiva Malicious Intent, che fa “anni ’90” sin dal titolo,
sino ad arrivare alla stranissima title-track, strumentale di quasi dieci minuti
dall’incedere ipnotico, posta in chiusura a mo’ di outro.
Restano le caratteristiche principali che da sempre contraddistinguono i Gorefest:
la voce cavernosa ma duttile di Jan-Chris, riconoscibilissima; il drumming
snello e potente di Ed Warby; e le chitarre decise e groovy della coppia Boudewijn Bonebakker/Frank Harthoorn,
i solismi del primo (che spessissimo lasciano trapelare la sua esperienza in
generi lontani dal metal) ed il muro ritmico del secondo.
La Muerte ha pochissime falle, solo un paio di pezzi attestati
sulla sufficienza, e segna un nuovo inizio di un gruppo che vi consiglio di
tenere d’occhio da subito: in troppi avevano ignorato il loro scioglimento, nel
1998, per poi pentirsene.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. For the Masses
2. When Dead Men Walk the Earth
3. You Could Make Me Kill
4. Malicious Intent
5. Rogue State
6. The Call
7. Of Death and Chaos (A Grand Finale)
8. Exorcism
9. Man to Fall
10. The New Gods
11. ‘Till Fingers Bleed
12. La Muerte