Recensione: La Voce Dei Morti
Che i bolognesi Malnàtt, partendo due lustri fa dalla goliardica teoria della «suinizzazione del mondo», sarebbero arrivati agli ottimi livelli tecnico/artistico di “La Voce Dei Morti”, probabilmente, non ci avrebbe pensato nessuno. Tantomeno loro. Il cammino per arrivare all’album – partendo dal demo “Tetralogia Vichinga” del 2001 – è stato lungo e articolato; ricco di ripensamenti, divagazioni musicali, cambi di line-up. Questa «Via Crucis» magari, oltre ai dolori, ha determinato anche l’imprevista maturazione del gruppo, in primis di Pòrz, membro fondatore e colonna portante della band sin dal1999.
«Il fato a noi prescrive il pianto, a ogni età»
Nonostante sia endemica l’esterofilia imperante in ambito metal, la scelta di cantare in italiano (esclusa “I Felt A Funeral”) si rivela una decisione centrata in pieno. Tutti i testi delle canzoni sono delle poesie da antologia, struggenti, malinconiche, delicate; tese a sviscerare uno stato d’animo segnato da dolorosissime ferite apportategli dallo svolgersi degli eventi. Animo quindi pessimista nel credere a una vita futura scevra da sofferenze, incline di conseguenza a cercar rifugio nella misantropia. In questo senso, la band è riuscita a materializzare in maniera encomiabile la vera (per chi scrive) natura primigenia del black: il rifiuto di un’esistenza forgiata da un perenne stato di afflizione, la volontà di sopravvivere rifugiandosi nel proprio mondo interiore; lontani dal «finto bene» e da chi vede, in esso, l’unica sostanza di un’esistenza, tutto sommato, ipocrita. La melodiosità unica della lingua nostrana – paradossalmente – si lega mirabilmente all’estremità della proposta musicale, dando così forma all’ectoplasmatica essenza delle anime esacerbate che si ritrovano in questo sublime stato della sostanza vivente. Sublime, perché solo così si riesce a penetrare la materia, giungendo negli strati più profondi della stessa, dove le emozioni e i sentimenti giacciono allo stato puro. Queste intense percezioni, derivanti dall’attenta lettura dei testi trovano, nello stesso tempo, pieno supporto dalla musica. Che le rifinisce e le amplifica, portandole a un livello lirico inverso, ove cioè l’idillio coincide con l’inconfutabile certezza della miseria spirituale in cui vaga l’esistenza. Ecco perché pare impossibile che, partendo da un approccio del tutto goliardico alla questione, si arrivi a un’analisi così acuta dell’animo umano. I Malnàtt l’hanno fatto.
«E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore»
Le canzoni che compongono “La Voce Dei Morti” sono dei gioielli di distillato black, puro al 100%. Black metal la cui tecnica è quella adatta allo scopo, che è quello di servire l’arte e non quello di perdersi in sterili tecnicismi. A partire dal suono della chitarra, rigorosamente «zanzaroso» come da stilemi di base, sino alle partiture della batteria, che esplorano i ritmi da quelli più lenti ai blast beats arrotolandosi alle poderose e vorticose linee del basso. Pòrz interpreta magistralmente i testi, non arrivando mai ai limiti sia del growl sia dello scream, tanto è vero che i testi medesimi sono facilmente discernibili dal muro di suono. “Fantasmi”, uno degli episodi ove la melodia mette di più il naso, sviscera un bridge e un refrain memorabili, i quali rappresentano il primo dei ponti che valicano gli abissi più oscuri, verso l’ignoto che alberga in ciascuno di noi. Il suono di una tromba e di una voce femminile rifinisce in maniera anche originale il brano. Blast beats a ondate, ferocia e determinazione musicale, che segnano con decisione il suono, non intaccano minimamente lo strato di nebbia che avvolge il groove sia della canzone sia dell’interno lavoro. “I Felt A Funeral” si srotola attorno alle medesime coordinate stilistiche, con che si entra, definitivamente, nel visionario Universo Nero concepito da Pòrz e i suoi adepti. Con il susseguirsi dei pezzi si percepisce, anche, la maturità compositiva raggiunta dai Nostri; in grado di concretizzare in un’unica maniera, cioè con uno stile ben definito e del tutto personale, l’impulso artistico che sta a monte di tutto. Cito ancora “Chi Sono?”, per l’andamento irresistibilmente trascinante e “E Come Potevamo Noi Cantare”, ultimo ricordo di un passato folk, per l’incommensurabile bellezza del ritornello. Tutte le canzoni sono assestate sull’identico, elevato, standard qualitativo; per cui mi sembra ingeneroso descriverle, rischiando così di trascurare qualche particolare che invece va trovato nell’attento e ripetuto ascolto del disco.
La ricerca della proposta black che possa, ancora, stravolgere il cuore, porta spesso se non sempre a vagare per le desolate lande del circolo polare artico; quando, invece, nella terra dei Latini, si può raggiungere l’agognata meta con i Malnàtt e il loro “La Voce Dei Morti”. Opera dall’altissimo valore artistico, davvero.
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Track-list:
1. Fantasmi 7:37
2. I Felt A Funeral 4:48
3. Novembre 7:17
4. Penombre 5:04
5. Chi Sono? 3:41
6. Sono Una Creatura 4:33
7. E Come Potevamo Noi Cantare 4:21
8. Piangi Tu Che Hai… 6:18
9. La Voce Dei Morti 2:16
Line-up attuale:
Pòrz – Vocals
Braz – Guitar
Gumira – Bass
Lerd – Drums