Recensione: Labyrinth

Di Eugenio Giordano - 21 Luglio 2003 - 0:00
Labyrinth
Band: Labyrinth
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Anno: 2003
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92

Aspettavo con trepidazione la nuova prova discografica dei nostrani Labyrinth vere colonne portanti della scena metal italiana, considerando anche tutte le difficoltà che il gruppo ha dovuto affrontare in questo ultimo periodo e sperando in una ennesima resurrezione artistica di questi incredibili musicisti che erano attesi a un ritorno glorioso sulle scene. Credo che il contratto con la Century Media abbia spianato la strada e rafforzato gli animi durante la composizione e la realizzazione di questo nuovo “labyrinth”, finalmente, per la prima volta nella loro storia, i Labyrinth hanno dalla loro una sicurezza e una tranquillità che forse non avevano mai conosciuto. Questo ritrovato equilibrio viene letteralmente sprigionato da ogni singolo solco di questo nuovo disco, credo di poter affermare con certezza fin da subito che siamo di fronte al miglior parto artistico del gruppo, il lavoro più coraggioso e creativo che i nostri abbiano mai inciso. La separazione da Olaf Thorsen ha inciso relativamente sul songwriting del gruppo, l’evoluzione del suono e delle composizioni però supera di gran lungo le soluzioni proposete in precedenza, i Labyrinth tornano a suonare in modo raffinato, elegante e romantico. Potete dimenticare le indecisioni della produzione di “sons of thunder” ma continuerete a sentire echi oscuri e vibranti ritmiche, come succedeva in quel disco, in ogni nuova canzone senza veder snaturare il trademark del gruppo. Andrea De Paoli si riprende un ruolo centrale nel risultato finale dei brani tornando a un utilizzo delle tastiere personale ed elegante, a volte progressivo, che richiama da vicino l’ottimo “return to heaven denied” vibrando spesso note emozionali e romantiche grazie ad intelligentissime inserzioni pianistiche senza mai togliere potenza al gruppo. Come sempre eccellente Roberto Tiranti è assolutamente protagonista del disco, la sua timbrica inconfondibile e il suo mood vagamente minore gli consentono di disegnare linee vocali raffinate e melodiche sempre efficaci e lontane dalla banalità. L’iniziale “the prophet” richiama le strutture compositive di brani come “new horizon” all’insegna di poderosi riff dinamici, potentemente appesantiti con perizia dall’ottimo Andrea Cantarelli, per sfociare in refrain esplosivi e emozionali nei ritornelli, i Labyrinth chiariscono subito le idee sul valore artistico del nuovo disco fin dalla opener. Molto più ricercata e ambiziosa “livin’ in a maze” è il ritratto dei Labyrinth di oggi, la struttura è cambievole, a tratti progressiva e sapientemente bilanciata, il lavoro della sezione ritmica è magistrale, il brano scorre senza perdersi e cattura l’ascoltatore con le sue melodie in maniera molto personale ed efficace. Sperimentale, al limite del progressivo, “this world” dimostra il coraggio e la sicurezza che il gruppo possiede oggi, un brano certamente difficile ma di grande spessore, ancora ottimo l’apporto delle tastiere al risultato finale del pezzo, insomma l’evoluzione artistica è innegabile. Splendida, anche da sola vale l’intero acquisto, “just soldier (stay down)” è una severa lezione di heavy metal punto e basta, raramente capita di sentire un gruppo così ispirato e con le idee così chiare, evidentemente i Labyrinth sono maturati e tanto. “Neverending rest” entra di diritto tra gli slow tempo romantici a cui ci hanno sempre abituati questi ragazzi, bella la scelta delle melodie, ottima l’interpretazione vocale, condivido anche la produzione delle chitarre che potenziano il risultato finale del pezzo. Si ritorna al valore della opener con “terzinato” un brano potentissomo e puramente dinamico, qui il gruppo sfodera una grinta e una risolutezza di grande impatto, come sempre i nostri non si macchiano di banalità e cercano continuamente eleganza e raffinatezza. I miei Labyrinth, quelli che amo di più, sono gli artefici di brani come “slave to the night” o l’eccellente “hand in hand” entrambe raccolte in ritmi medi ma dal grandissimo spessore compositivo, la classe del gruppo esce dominante da prove come queste che li separano dal resto delle produzioni tricolori. Inizialmente inquietante “synthetic paradise” esplode in un riffing potentissimo che lascerà certamente molti a bocca aperta, anche qui i nostri dimostrano di sapersi muovere con disinvoltura tra tempi cambievoli e soluzioni melodiche eleganti. La conclusione del platter viene affidata alla bella “when I will fly far” prevedibilmente rallentata ma sempre con grande stile e capacità. A conti fatti credo che possiamo definire questo “labyrinth” l’appuntamento metal italiano dell’anno, un disco che mostra una band nel suo massimo compositivo, una band che ha ritrovato energia e chiarezza mentale e che promette grandi riscontri in ogni frangente futuro. Bravissimi.

1 the prophet

2 livin’in a maze

3 this world

4 just soldier (stay down)

5 neverending rest

6 terzinato

7 slave to the night

8 synthetic paradise

9 hand in hand

10 when I will fly far

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