Recensione: Labyrinth Of Dreams

Di Alessandro Marcellan - 2 Ottobre 2008 - 0:00
Labyrinth Of Dreams
Band: Elegy
Etichetta:
Genere:
Anno: 1992
Nazione:
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1992: l’anno del progressive-metal

La fine degli anni ’80 mostrava un gran fermento di idee nel segmento più tecnico del metal. Gli allievi dei Rush (Queensryche, Fates Warning) stavano già iniziando a ragionare oltre il techno-metal, e band come Sieges Even, Psychotic Waltz, Conception (e i Dream Theater di “When Dream and Day Unite”) raccoglievano la sfida pur non ottenendo la giusta visibilità. Ma fu l’anno di “Images and Words” a riscrivere le regole, grazie anche ad una ristretta cerchia di album (sempre del ‘92 l’esordio degli Shadow Gallery) che, metallizzando e/o attualizzando le esperienze del rock progressivo settantiano, hanno contribuito alla diffusione di questo segmento del metal e dei suoi sottogeneri: fra questi, la commistione power-progressive è quella che vede gli Elegy quale legittimi capostipiti, e “Labyrinth of Dreams” il suo atto costitutivo.

 

Elegy anni ’80: gli albori

Ma facciamo un salto indietro. Sei anni prima, in Olanda, il chitarrista Henk van de Laars e il bassista Martin Helmantel fondano una band/progetto di classic-metal, e registrano un primo demo intitolato “Metricide”. Ad esso fa seguito nel 1988 “Better Than Bells”, a supporto del quale il combo inizia a farsi conoscere aprendo i concerti per King Diamond ed Angelwitch. Le avvisaglie di una creatività non comune si hanno a breve, quando, nel 1989, si forma la prima vera line-up, con Ed Warby alla batteria (che lascerà la band dopo le registrazioni per approdare nei Gorefest: lo ritroveremo più avanti anche assieme a Lucassen nell’acclamato progetto Ayreon) e soprattutto il cantante Eduard Hovinga (giovane vocalist di talento, ispirato da Geoff Tate): con questa formazione viene registrato un brano che costituisce il primo embrione di power-progressive, “The Elegant Solution”, il quale dà anche il titolo al terzo demo degli Elegy (il pezzo sarà, non a caso, recuperato in una nuova veste nell’album “Forbidden Fruit”).

 

Elegy 1992

E si arriva al 1992, quando viene dato alle stampe il primo full-lenght, di cui qui si tratta. Inizialmente la distribuzione riguarda solo il Giappone, laddove ottiene un successo insperato, portando all’interesse di un’etichetta tedesca che provvede alla ristampa l’anno successivo in Europa.

La proposta è originale, tiene ben presente il lato più raffinato del heavy-metal anni ’80, ma lo conduce nel nuovo decennio nelle sue vesti techno-progressive, class-metal, power, talvolta combinandole fra loro (assieme anche a certo gusto melodico hard rock e alle influenze chiaramente neoclassiche di Van der Laars), per un risultato che allora sembrò bizzarro e inusuale rispetto alle sonorità che andavano per la maggiore, con il power ormai ai margini e il prog-metal di cui, come accennato, solo da poco si stava iniziando a parlare in maniera esplicita.

 

Labyrinth of Dreams: le canzoni

I due brani iniziali sono quelli in cui le varie influenze risultano amalgamate al meglio, e basterebbero queste a far capire, rapportandosi al periodo, come gli Elegy fossero “avanti” e quanto siano oggi sottovalutati: e così le geometrie raffinate dell’apertura “The Grand Change” (mai titolo fu più premonitore dell’ondata prog-power che avrebbe caratterizzato gli anni a venire), condite da virtuose scale chitarristiche ispirate da Malmsteen e dai Cacophony del duo Friedman-Becker (quasi sempre appaiate, come nel power più classico) e rese splendidamente accessibili da melodie a dir poco coinvolgenti, potrebbero far credere all’ascoltatore di trovarsi di fronte ad un disco di almeno 5 anni dopo. “I’m not Fool”, singolo da cui fu tratto anche un raro video-clip, parte invece da una base che mischia power e class-metal e si sviluppa, grazie anche agli evidenti tratti ‘rychiani nel cantato brillante ed acuto di Hovinga, tramite una sezione ritmica in costante movimento che può già definirsi “prog-metal”: l’alternanza di momenti di splendida immediatezza con fasi più intricate è qui resa al meglio. Se è vero che i due pezzi d’apertura reclamano un ruolo di prim’ordine, sarebbe tuttavia un torto non evidenziare, almeno nei tratti essenziali, quanto di buono offre il disco nel suo prosieguo. Tutti i brani, infatti, pur nelle loro caratteristiche di base (e pur con qualche parte inevitabilmente più acerba), non perdono un briciolo in originalità, con grande vanto e merito da ascrivere al geniale tocco compositivo di Van De Laars che, ben coadiuvato dal buon Arno Van Brussel sia in fase solista che ritmica, conferisce una spiccata identità con il suo riffing ricco e movimentato. E così, una menzione la meritano certamente gli arpeggi e le invenzioni della stravagante title-track, sorta di prog-ballad che rinvia all’orientaleggiante copertina, mentre altra linfa al genere nascente viene dalle anomalie ritmiche e dai barocchismi di “Powergames”, dalle ricercatezze dei controtempi e delle melodie di “Trouble in Paradise” e “Take my Love”, e dalle due tracce strumentali (prog-metal figlio dei Fates Warning di “Perfect Simmetry” nel caso di “All Systems Go”; più orientata al power la seconda, breve, “Mass Hysteria”). Territori diversi (ma solo apparentemente) vengono poi setacciati in “Over and Out”, la traccia più lineare del disco, tanto anacronistica quanto personale reinterpretazione di un hard’n’heavy patinato (non fosse per le variazioni impresse dalla band potrebbe richiamare in qualche modo anche band come Europe e TNT), laddove, alla fine, la stessa doppia cassa conclusiva di “The Guiding Light” parrebbe scimmiottare il power di matrice helloweeniana, ma si avvale di certi stacchi ritmici che rappresentano il seme dal cui albero moltissime band andranno a raccogliere di lì a qualche anno…

 

Un disco quindi, per quanto a sé stante, sicuramente fondamentale e a suo modo capostipite di un genere che arriverà alla saturazione dopo il magico biennio 1997-1998. Per la piena maturità e per un sound più “quadrato” e definitivo basterà attendere il successivo “Supremacy”, al quale certamente si rinvia, ma non prima di aver ascoltato anche questo gioiello. Seminali!

 

Alessandro Marcellan“poeta73”

 

 

Tracklist

1. The Grand change 4:43

2. I’m not fool 4:56

3. Take my love 4:47

4. All systems go 2:56

5. Trouble in paradise 5:35

6. Over and out 3:42

7. Labyrinth of dreams 6:09

8. Mass hysteria 1:24

9. Powergames 4:25

10. The guiding light 3:16

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