Recensione: Lady In Gold
Tra le ormai innumerevoli band dedite a revival più o meno spinti delle sonorità e dell’estetica tipica degli anni ’70, i Blues Pills sono certamente tra le più interessanti e accattivanti.
Intendiamoci: a parte qualche leggera speziatura di matrice stoner (peraltro più evidente nel debut auto-intitolato, NdR), gli svedesi non propongono assolutamente nulla di particolarmente personale o innovativo, ricalcando anzi in maniera pressoché pedissequa tutti gli stilemi tipici dell’hard blues di quarant’anni or sono. Tuttavia rispetto ad altre formazioni riconducibili alla medesima corrente, i Blues Pills possono vantare un notevolissimo asso nella manica in grado di donare al pur efficace songwriting e all’elegante coté strumentale intessuto da Dorrian Sorraux (chitarre), Zach Anderson (basso) e André Kvanstrom (batteria) – basi solide ma onestamente prive di particolari guizzi d’ingegno – un plusvalore inestimabile.
Se avete già avuto modo di incrociare il quartetto scandinavo tra i vostri ascolti abituali, avrete capito che ci riferiamo alla splendida voce di Elin Larsson, una delle poche ugole attualmente in grado di marcare per davvero la differenza tra un onesto prodotto di genere e un gioiellino di hard rock bluesato dal grande feeling.
Citare mostri sacri quali Adele, Etta James o Janis Joplin come termine di paragone per le qualità vocali della bella cantante di Örebro non pare in alcun modo forzato o eccessivo e se il potenziale era già evidente ai tempi di “Blues Pills”, ascoltando le canzoni che compongono il suo successore è possibile comprenderne e apprezzarne l’ulteriore passo in avanti dal punto di vista della padronanza dei mezzi espressivi.
Le canzoni proposte su “Lady In Gold” calzano come un guanto alla Larsson, libera di tirare fuori gli artigli sulle più toste “You Gotta Try” (prima sonnolenta e poi tutt’a un tratto più bizzosa di un cavallo lanciato al galoppo verso l’orizzonte a colpi di speroni sui fianchi) e “Wont’ Go Back”, quanto di strizzare l’occhio alla miglior Adele grazie ai suadenti bassi sfoderati con inarrivabile maestria sulla sognante “I Felt A Change” e sulla languida “Gone So Long”.
Se, poi, non è da un lato possibile esimersi dall’inserire l’orecchiabile title-track e la polverosa “Burned Out” tra gli high light dell’ultimo parto di casa Blues Pills, è altrettanto corretto e doveroso citare la presenza di alcuni momenti di leggera stanca, individuabili nelle noiosette “Little Boy Preacher” e “Bad Talkers”. Ci pensano, ad ogni modo, le riuscitissime “Rejection” – un blues cupo e tirato nel quale Elin non manca di sfoderare altre sfumature à la Adele – e “Elements & Things” (cover di un vecchio brano del cantautore statunitense Tony Joe White) a riportare in alto la media complessiva.
Rispetto al debutto mancano probabilmente la continuità e – inevitabilmente – quell’effetto sorpresa che contribuì a imporre il quartetto svedese come new sensation a livello internazionale; tuttavia ”Lady In Gold” riesce nella non semplice impresa di confermare i Blues Pills ad alti livelli, nell’attesa di poterne saggiare le qualità live il prossimo 19 ottobre all’Alcatraz di Milano in compagnia dei tedeschi Kadavar.
Stefano Burini