Recensione: Lady Rose
Red Morris è il nome de plume di Maurizio Parisi, chitarrista bresciano con un passato artistico in numerose cover band ed al seguito di vari artisti, il quale ha deciso di mettersi alla prova con proprie composizioni rock.
Il frutto di tale cimento s’intitola “Lady Rose”, un disco in cui l’axeman si avvale della collaborazione di Claudio Amadori alla batteria, Beppe Premi alle tastiere e Renato Mombelli al basso.
L’album si colloca nel genere “rock strumentale”, e si qualifica per le robuste ascendenze progressive. Il platter, altresì, si palesa non privo di richiami a solisti strumentali come Joe Satriani.
I poco più di trenta minuti di Lady Rose, dunque, scorrono assai agevolmente a partire da Golden Angel, una traccia dalla intro tutta chitarra e tastiere molto pinkfloydiane. Il brano, poi, assurge al ruolo di cavalcata strumentale guidata da una chitarra limpida accanto alla quale i tasti d’avorio disegnano gradevoli volute sonore.
Red Morris, però, sembra dare il meglio di sé in brani come Mystery (traccia che ondeggia tra intimi arpeggi e decise svolte rock e jazz, con il contributo di una voce quasi recitante), e My Sea’s Echoes (contrassegnata da un lirico ed evocativo pianoforte).
Di rilevante caratura, nonché diversificate dal mood generale del CD, sono Black’s Eyes, un rock teso e drammatico trafitto da riff quasi metal e stemperato dai sintetizzatori, e, su territori opposti, My Life Blues (Go Go), dai profumi jazzy e condotta da una sezione ritmica in bella evidenza.
Degna di nota, ancora, Lady Rose, classicheggiante e contraddistinta da spunti latineggianti, ma sempre con la sei-corde e, verso la fine, le tastiere sugli scudi.
Lady Rose, in definitiva, è un esordio assai piacevole, in cui Red Morris offre un prog leggero, privo di sterili esibizioni di virtuosismo estremo, ma in cui la maestria strumentale è messa efficacemente al servizio di un sound di classe, gradevole ed avvolgente.
Francesco Maraglino