Recensione: Lam
Lo dice la parola stessa: è un disco duro, questo “Lam”, dei milanesi Red Coil (Marco Marinoni, voce, Luca Colombo, chitarra, Daniele Parini, chitarra, Toni Viceconti, basso e Bull, batteria).
La band si ispira al genere stoner-sludge metal di cui eredita un carattere brutale, fatto di riff molto pesanti e batteria insistente. Si riconoscono influenze di Pantera e System of A Down.
In generale, va detto che spesso si susseguono episodi che non spiccano per originalità e che non restano nella mente ma piuttosto si confondono fra loro. Così succede a “The Ones That Fall From Grace” e “Eastern Smell of Smoke”, momenti molto cadenzati e ripetitivi, per di più con eccessiva carica strumentale. Il cantato rigorosamente in growl, non aiuta a rendere l’insieme più scorrevole, che appare invece poco dinamico, fatti salvi alcuni incisi più originali che “animano” alcuni pezzi, come succede in “S.S.C”, “Fuckin’ Numb” e “The Desert’ Crown”.
“Narcotic Jail” e “Daybreak” sono ad ogni modo dei buoni brani: non spiccano per un carattere particolare, ma sono comunque ben realizzati.
Una menzione a due canzoni. “Barrio Alto”, che chiude il lavoro sintetizzandone l’essenza: cattivo e potente. Ma soprattutto “Beginning From Nowhere”, che s’introduce in maniera inaspettata: apprezzabile un’armonica a bocca che accompagna la voce di Marco Marinoni, timbro profondo e seducente, che troppo presto torna al cantato ringhiato.
In breve, “Lam” è un album un po’ monolitico, ruvido, impegnativo, a tratti ripetitivo, aspetto amplificato dall’eccessiva lunghezza di quasi tutte le tracce.
Il gruppo è indubbiamente dotato di buone doti tecniche, ma il disco non affascina, per la sua scarsa orecchiabilità e i ritmi troppo scanditi e ridondanti: non accende gli animi, o almeno quelli dei non cultori del genere.
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