Recensione: Lamb Of God (Live in Richmond, VA)
I Lamb of God non hanno bisogno di presentazioni: con 9 album editi in 30 anni di attività, sono un punto di riferimento della scena metal statunitense ed internazionale. Inizialmente nati come Burn the Priest nel 1990, nel 2000 raggiungono la fama con “New American Gospel”, un album dal sound molto ruvido composto di influenze groove e death.
A vent’anni da questo primo successo, nel giugno 2020, la band pubblica l’omonimo “Lamb of God”, che a settembre è stato presentato in live streaming dai loro studi di Richmond. Le registrazioni sono ora incluse nella versione deluxe dell’opera, edita a marzo 2021: l’idea di presentarla con un’esibizione in streaming è stata un compromesso per portare ai fan un po’ di quell’energia tipica dei concerti che tanto ci manca.
Nel corso degli anni lo stile della band si è evoluto ma senza perdere la forza e l’aggressività che lo caratterizzano. Oggi questo “Lamb of God” ci propone un sound che si allinea bene con quelli che sono gli standard attuali del death/metalcore. ‘Memento Mori’ è la prima traccia e anche uno dei singoli: un’intro dai toni cupi che in meno di due minuti esplode diretta, imperiosa, ma anche abbastanza orecchiabile. Un altro singolo sarà ‘Bloodshot Eyes’, un pezzo intenso, dall’approccio un po’ più mainstream rispetto al resto dell’album ma comunque molto godibile. Molto apprezzati, qui, i momenti in cui il growl e lo scream lasciano il posto ad un cantato lugubre che in qualche modo ricorda i Type 0 Negative. ‘Checkmate’ e ‘Gears’ si fondono in un unico flusso di energia, con chitarre e bassi a formare un compatto muro di suono. Le successive ‘Reality Bath’ e ‘New Colossal Hate’ sono entrambe canzoni arrabbiate, ma mentre la prima punta su velocità e una voce più improntata allo scream, la seconda gioca molto sui toni bassi del growl per dare una sensazione di oppressione totale.
Ma l’essenza della band viene finalmente rivelata in ‘Routes’: breve ma intensa, qui troviamo un metal più grezzo e tradizionale, che ci delizia con un bell’assolo verso il secondo minuto. Anche in ‘Contractor’ ritroviamo la ruvidezza caratteristica del groove più classico, anche se qui è temperata da oscillazioni nel ritmo, che alla fine del primo minuto rallenta per poi velocizzarsi di nuovo. L’album si chiude con ‘512’, anche questo un pezzo orecchiabile, caratterizzato da un riff di chitarra molto in voga nel “-core” e che abbiamo già sentito svariate volte nel corso di quest’opera; nonostante questo si tratta di un bel brano e di una degna conclusione.
Onestamente. Non c’è grande differenza tra le registrazioni live e quelle in studio, eccetto qualche parola introduttiva all’inizio dei brani (solo alcuni), ma niente di essenziale. Lo streaming poteva quindi rimanere un’esperienza visiva, il resto non aggiunge nulla alla fruizione dell’opera ed è solo materiale per i fan più devoti.
Dal punto di vista musicale, questo “Lamb Of God” conferma la band come un caposaldo del metal in termini di qualità. C’è da dire che alcuni schemi sono ormai abusati da tutti all’interno del genere (come, appunto, i riff in ‘512’) e a causa di questo alcuni momenti risultano un po’ noiosi. Nonostante qualche difetto però, la band si conferma coerente nello stile e nell’identità, e per questo speriamo che presto avremo anche la possibilità di rivederli in tour dal vivo.