Recensione: Land in Sight
La notte è più buia prima dell’alba…Non scrivere come loro. Tu ci credi e non solo nella scrittura o nella musica, ma anche nell’idea stessa che la verità, per quanto illusoria essa sia, è quella cosa che ci può salvare. Non arrenderti, loro sono oscurità, ma non può durare per sempre. Si sono evoluti in click virali e sono ovunque, dominano le coscienze. Non pensare come loro…ti prometto che l’alba sta per arrivare!
Infatti ora è giunto ora il tempo degli At the Dawn, perché quell’alba ripresa nel nome della band (ispirato a sua volta dalla citazione di “Dark Knights – il Ritorno del Cavaliere Oscuro” che ho utilizzato nella mia introduzione) diviene nuova speranza che dagli antichi cieli del metal si generi finalmente un’entità metal degna degli antichi fasti.
Ritornando a terra o meglio nelle tempestose acque disegnate sulla copertina di Land in Sight è tempo quindi di inoltrarsi nel loro symphonic heavy metal e risalire dagli abissi del tempo ai nostri giorni.
Gli emiliani At the Dawn, si formano nel 2011, tuttavia Il loro primo vagito musicale è un demo del 2012 intitolato Countdown to Infinity, per poi riapparire un anno dopo con il valido esordio intitolato From Dawn to Dusk. Scopriremo la loro formazione nelle prossime righe, ora andiamo ad ascoltarci il loro ultimo album rilasciato pochi mesi fa e indagarne pregi ed eventuali misfatti.
Terra in vista! O meglio Land in Sight si disvela in un temporale che diventa sottofondo per una voce profetica e latineggiante. Non si tratta di intro però. Infatti ben presto la chitarra di Michele Viaggi disegna partiture classiche, come fulmini antichi e bellicosi in grado far strada alla voce di Stefano de Marco che si muove alta, senza mai eccedere, ma la sua forza sta nel riuscire ad essere evocativa e sempre in controllo per poi variare quando necessario. Non veniamo inondati da note classiche a casaccio, orchestrazioni come se piovesse o cose pseudo pop che piacciono tanto (etciù! Scusate sono allergico…), in realtà rimango colpito dall’essenzialità della loro musica che a grazie a brillanti sfuriate elettriche in assoli, ritmiche sempre ben costruite da Michele Vinci e passaggi orchestrali mai eccessivi riesce ad avere un attitudine sifonica, ma in una struttura che rimane ancorata prevalentemente ad un heavy classico. Dimenticavo, stavo descrivendo la prima traccia dell’album intitolata “Falling Through the Darkned sky” il cui ritornello è dichiarazione d’intenti, perché gli At the Dawn diventano epici e oscuri, senza appesantirsi in soluzioni ipertrofiche, ma facendo leva su una melodia che si materializza come un fulmine scagliato dagli antichi dei del metal a sfregiare un cielo tempestoso.
La seconda traccia “Land in Sight” si muove attraverso mari di acciaio verso l’eternità, aprono riff rallentati a fluttuare verso il cielo, quindi si insinua il basso di Vittorio Zappone per condurci in un brano di carico di epicità e ben disegnato dalla voce di de Marco che è perfettamente a suo agio in quelle antiche terre. Vi sono poi assoli che si espandono come scie minacciose riuscendo a impreziosire una struttura classica, ma mai obsoleta.
Il brano successivo intitolato “Siren Call” si muove tra arpeggi e passaggi distorti più veloci. Appare per la prima volta la voce di Letizia Chiozzi (in forza ai Synful Ira, band Gothic metal) che accompagna la voce maschile donando alla melodia del ritornello un tocco gentile e seducente.
Nella sesta traccia intitolata “The Deserterer” gli At the Dawn tornano a tessere trame fatte di riff, armonizzazioni di tastiere e assoli veloci. La voce, senza troppe cerimonie, si leva verso l’alto ed è il segnale che il nuovo viaggio epico in terre ignote è ripartito.
Dalla settima traccia viene narrata la leggenda di Rosmunda, regina che uccise il marito usurpatore (aveva assassinato suo padre in battaglia e bevve vino, in sua presenza, dal cranio dello stesso) per vendetta e morì perché in fondo la scia di quel sangue non era destino si esaurisse.
Non è un caso se in “The Revenge” riappare la voce di Letizia, ora è certamente colma di rabbia e si muove verso l’alto perché in fondo la vendetta diviene un punto esclamativo verso un cielo imperscrutabile e immoto. La voce maschile continua a narrare la vicende su un tappeto di riff teatrali ed evocativi mentre la batteria di Mattia Ughi scandisce possente i tempi.
Le successive “Ladyhawke” e “Tiger Within” si dipanano in riff oscuri e disegnano melodie epiche sempre mirabilmente costruite.
L’undicesima traccia si intitola “A Crow with no Wings” e malgrado il corvo non abbia le ali la loro musica vola su note sinfoniche esaltate dalla tastiera di Marco Iaffaldano ora massicciamente presente e ben amalgamata in riff oscuri e potenti. La melodia pare provenire da antichi sogni rimane impressa con forza nei nostri recessi memonici.
Il disco chiude con “Revelations” una cover degli Iron Maiden tratta da Piece of Mind come tributo a quella che è a mio modo di vedere una delle più importanti influenze del gruppo bolognese. Nella nuova veste il brano diventa più potente e con un’attitudine sinfonica che possiamo ritrovare, in modo trasversale, in ogni traccia dell’album.
Abbiamo navigato nella notte più oscura, attraversato tempeste implacabili e affrontato sanguinose vendette, ma alla fine del nostro viaggio cosa ci rimane nei nostri ricordi mentre aspettiamo che l’alba illumini la via degli At the Dawn? Siamo sorpresi, infatti la loro musica, pur tornando, a percorre antichi sentieri riesce a convincere sempre grazie a soluzioni melodiche e armoniche raffinate, ma allo stesso tempo immediate. I suoni sono ben prodotti anche grazie alla supervisione del bravo Simone Mularoni (ricordo che ha contribuito, tra gli altri, alla produzione dell’ultimo album degli Elvenking!).
In ultimo però non ci rimane che stringere la mano agli At the Dawn per il lavoro svolto e sottolineare che questo “Land in Sight” merita ogni nostra attenzione… e vi prometto che l’alba sta per arrivare!