Recensione: Land of Fire
“Land of Fire” è il quarto disco per i polacchi Scream Maker e giunge a poco meno di un anno dalla ri-pubblicazione del loro precedente lavoro, “Bloodking”. La ricetta del quintetto di Varsavia è sempre la stessa: un heavy classico che più classico non si può, fatto di ritmi quadrati e melodie accattivanti che di tanto in tanto strizzano l’occhio a power e hard rock e testi all’insegna della lotta alle avversità che la vita ci pone sulla strada. Le velocità si mantengono quasi sempre piuttosto contenute per permettere ai nostri di creare gli inni rocciosi ma al tempo stesso di facile presa che a quanto pare prediligono, ma nonostante questa omogeneità ritmica “Land of Fire” si dimostra un lavoro compatto e, in fin dei conti, anche piuttosto piacevole. Le canzoni si mantengono sui quattro minuti, restando concentrate su quel che devono dire senza inutili riempitivi, e questo dona loro la giusta scorrevolezza e un’onestà di fondo a tratti commovente. Le chitarre macinano riff corposi e dal taglio mascolino, sempre pronte ad incattivirsi durante le sporadiche sfuriate a cui i nostri ci hanno abituato, ma in genere si dedicano a melodie muscolari per fornire il giusto terreno alla voce squillante di Sebastian, che tributa più di un onore al suo nume tutelare Bruce Dickinson. Questa dedizione alla causa del vero metallo non può che scaldare il cuore, ma è anche il motivo per cui la formula degli Scream Maker, per quanto ormai collaudata ed affinata a puntino, manca del guizzo di imprevedibilità che potrebbe far fare il proverbiale salto di qualità ai propri pezzi. Per tutti i tre quarti d’ora abbondanti di cui è costituito “Land of Fire” si assiste infatti a una carrellata di tracce solide e ben costruite, in cui ogni elemento è al posto giusto, che scorrono senza scossoni o svolazzi non necessari, ma che non riescono a smarcarsi da una certa rigidità strutturale di fondo. Il risultato è un lavoro che offre un onestissimo intrattenimento ma si ferma giusto un attimo prima di uscire dalla propria comfort zone, incatenandosi nel limbo di lavori godibili ma, in ultima analisi, senza infamia e senza lode.
Dopo la carica anthemica dell’iniziale “Perpetual Burning”, utile per spezzare il ghiaccio ma un po’ troppo ripetitiva, si passa a “Can’t Stop the Rain”, che alza un po’ i giri del motore col suo mix di NWOBHM e svolazzi più ammiccanti: un mood che si propaga anche alla successiva e più lenta “Everybody Needs Illusions”. “Zombies” prosegue sulla via del mid tempo anthemico e dal retrogusto vagamente più arcigno, mentre la successiva “Nail in the Head” alterna fraseggi carichi di un afflato più eroico a rapide sfuriate. “The Rider” profuma di hard rock propositivo e sfrontato e trasmette una buona carica in vista delle riproposizioni dal vivo, mentre con “Dark Side of Mine” i nostri confezionano un pezzo quadrato ed arcigno, che si carica di pathos durante il ritornello. L’attacco determinato di “Way to the Moon” si stempera in un altro inno fatto di melodie solari e di rallentamenti sognanti ma che non esita ad irrobustirsi in corrispondenza del finale. È ora il turno della title track, che si presenta con un fare strafottente e stradaiolo fatto di chitarre graffianti e una sezione ritmica quadrata e minacciosa che sfuma con l’arrivo di “See the Light”. Qui i nostri affiancano alle melodie dirette e determinate un certo retrogusto eroico, soprattutto nella breve sezione strumentale che conduce al finale. Chiude le danze “Below”, marcia scandita giocata su una ricerca di pathos a metà strada tra minaccia e malinconia e che culmina in un finale giustamente solenne.
“Land of Fire” è un buon album di onesto heavy power, che di certo farà la gioia dei fan degli Scream Maker o dei defender più incalliti, ma che purtroppo manca della zampata vincente per poter ambire al proverbiale salto di livello.
