Recensione: Landhaskur

Di Stefano Usardi - 24 Dicembre 2024 - 9:55
Landhaskur
Band: Dewfall
Genere: Black 
Anno: 2024
Nazione:
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80

Ormai mi capita sempre più spesso che gli ultimi ascolti dell’anno svelino gemme impreviste che solo per una questione cronologica restano fuori dallo specialone natalizio di Truemetal. Stavolta, la mia personale tradizione di gioiellini fuori tempo massimo viene confermata dal qui presente “Landhaskur”, nuovo nato in casa Dewfall, che arriva a sei anni dal precedente (e ottimo) “Hermeticus” e ne porta avanti il discorso musicale fatto di black metal rabbioso, gelido e dai profumi esoterici. Dopo aver trattato la figura dello Stupor Mundi, Federico II di Svevia, il quintetto barese si butta a capofitto nella narrazione dei miti dei Winnili, antico nome dei longobardi, e delle tradizioni infuse sul suolo italico durante la loro permanenza nei secoli bui. Per addentrarsi meglio nell’atmosfera arcaica del lavoro i nostri affiancano al canonico inglese del cantato anche latino, longobardo e italiano medievale, che si innestano su una materia sonora in cui il black metal si colora di epicità, folklore e misticismo, prendendo in prestito soluzioni più vicine all’heavy classico (da cui i nostri sono partiti) che fanno capolino soprattutto durante gli assoli. Echi di Dissection, Enslaved ed Emperor (sentite la parte centrale di “Skranna” e poi ditemi se non vi ritorna alla mente “Inno a Satana”) si manifestano di tanto in tanto, punteggiando qualche passaggio con sporadici lampi nella tempesta sonora del combo pugliese che a chitarre, basso e batteria aggiunge strumenti come archi, flauti e scacciapensieri. A chiudere degnamente il cerchio arriva la voce aspra e pastosa di Vittorio, che si fonde molto bene al comparto strumentale valorizzandone l’ottima prova e trasmettendo le sensazioni giuste.

Il gruppo conosce indubitabilmente il fatto suo e mescola con abilità violenza black e atmosfere pagane, sfruttando le influenze heavy per tenerle entrambe sotto controllo senza perdere in potenza e carica rabbiosa e coronando il tutto con cori dal piglio sacrale che introducono la giusta scintilla di esoterismo. L’equilibrio così ottenuto dona ad ogni traccia di “Landhaskur” caratteri peculiari, pur mantenendosi entro i confini del black metal tradizionale: l’album si dimostra organico ma anche ricco di sfumature ed elementi diversi, le cui interazioni con la matrice di partenza donano al tutto una rotondità avvolgente, mantenendo viva l’attenzione. Per questo motivo, nonostante la proposta dei Dewfall non possa certo definirsi leggera, ho riscontrato un’insospettabile accessibilità (prendete il termine con le pinze, stiamo pur sempre parlando di black metal) durante l’ascolto di “Landhaskur”. L’elemento epico, ad esempio, si palesa solo di tanto in tanto ma non abbandona mai del tutto le canzoni, tenendosi sotto la superficie e pronto a riaffiorare al momento opportuno. Parimenti, gli strumenti “tradizionali” vengono dosati con gusto e parsimonia, senza scadere nel grossolano o togliere centralità all’ossatura tipicamente black. Ecco quindi che i violini dal piglio decadente di “Fara”, gli improvvisi squarci di voce pulita di “Hrings” o i rallentamenti inquieti di “Maska” coesistono con le sferzate gelide che costituiscono l’asse portante dell’album, per poi mescolarsi ad arpeggi dal taglio bucolico (come quelli che punteggiano “Lackeskur”, ad esempio) e feroci impennate rabbiose, trasformando di fatto “Landhaskur” in un turbine intrigante e sfaccettato. Per questo motivo una trattazione track by track servirebbe a poco, a mio avviso, mentre uno dei pregi di lavori come questo è dato dal gioco di luci ed ombre che si crea durante un ascolto più organico, mentre ci si lascia avviluppare dalle atmosfere e dai diversi stati d’animo creati.

Tirando le somme, “Landhaskur” è un lavoro diretto ma al tempo stesso articolato, ricco di sfumature e capace di svelare nuove chiavi di lettura ad ogni ascolto: i baresi Dewfall si confermano un gruppo solido e dalle indubbie qualità compositive ed esecutive, nonché una realtà da tenere d’occhio con una certa attenzione. Spero di non dover aspettare altri sei anni per un successore di “Landhaskur”, ma se questo è il prezzo da pagare per lavori di questo calibro allora così sia.
Giusto quello che mi ci voleva per passare il Natale. Buone feste a tutti, gente!

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